«I capolavori chiusi nei depositi delle grandi gallerie
tornino nei musei delle città da cui provengono per una nuova valorizzazione».
Il diktat è del ministro ai Beni culturali, Dario Franceschini, e prende le
mosse dalla decisione di lasciare nella “sua” casa, a Cerveteri, il capolavoro
di Eufronio: il cratere rubato dai tombaroli, esportato in America e restituito
nel 2006 dal Met di New York al Museo etrusco di villa Giulia.
Ma Franceschini dice di più. E suggerisce di aprire le porte dei magazzini per esporre i tesori meno conosciuti per avviare una promozione moderna, virtuosa e meno statica della cultura museale. Un’operazione che rivoluzionerebbe i musei siciliani a partire da quelli aretusei dove sono custoditi tesori provenienti da varie parti dell’Isola, a seguito di indagini archeologiche e acquisizioni varie, anche in virtù del vecchio assetto delle soprintendenze regionali suddivise per macro-aree.
Il museo archeologico regionale “Paolo Orsi”, che è tra i più importanti al mondo per la sua ricca silloge di reperti, vanta depositi preziosi che certamente - come accade in altre realtà museali - meriterebbe visite ad hoc. Lo stesso discorso vale per la Galleria regionale di Palazzo Bellomo. Non si tratta di magazzini con opere d’arte stipate e dimenticate, bensì di luoghi ricchi di storia che sono “polmoni” dei musei, necessari per la loro stessa sopravvivenza.
Ma Franceschini dice di più. E suggerisce di aprire le porte dei magazzini per esporre i tesori meno conosciuti per avviare una promozione moderna, virtuosa e meno statica della cultura museale. Un’operazione che rivoluzionerebbe i musei siciliani a partire da quelli aretusei dove sono custoditi tesori provenienti da varie parti dell’Isola, a seguito di indagini archeologiche e acquisizioni varie, anche in virtù del vecchio assetto delle soprintendenze regionali suddivise per macro-aree.
Il museo archeologico regionale “Paolo Orsi”, che è tra i più importanti al mondo per la sua ricca silloge di reperti, vanta depositi preziosi che certamente - come accade in altre realtà museali - meriterebbe visite ad hoc. Lo stesso discorso vale per la Galleria regionale di Palazzo Bellomo. Non si tratta di magazzini con opere d’arte stipate e dimenticate, bensì di luoghi ricchi di storia che sono “polmoni” dei musei, necessari per la loro stessa sopravvivenza.
Depositi, spesso a cielo aperto, anche nei locali di proprietà della Soprintendenza ai beni culturali aretusea. Ma la questione è qui più complicata poiché il comprensorio siracusano è molto vasto e ricco di testimonianze ritrovate nel corso del tempo che ancora non hanno avuto giusta collocazione. La soprintendente ai Beni culturali, Rosalba Panvini, ha già avviato una strada innovativa con l’allestimento di una mostra in occasione della festività dei Defunti che ha visto insieme i musei Iblei per l’esposizione di molti oggetti inediti custoditi, appunto, nelle sale nascoste dei musei.
L’idea di aprire i depositi dei musei per esporre le opere d’arte chiuse era stata lanciata da Culturalia in occasione di un forum sulla gestione del patrimonio. Un’idea molto ardita perché propone di esporre i reperti negli alberghi cittadini ripresa da Salvo Sorbello, consigliere comunale di opposizione che si sofferma appunto sul paradosso siracusano (e siciliano) legato alla mole di patrimonio storico custodito nei musei e nei depositi di quest’ultimi, oltre che in quelli della Soprintendenza. Una grandiosa quantità di reperti rinvenuti in occasione delle indagini archeologiche o parte di collezioni private donate o acquisite dagli enti pubblici. Opere d’arte e resti del passato di grande valore, che restano chiusi nei magazzini invece di poter diventare oggetto di ammirazione per turisti e contribuire a vivacizzare l’offerta culturale a disposizione della città.
«Ogni idea può certamente essere migliorata - dice Sorbello - ma parliamo di una opportunità per la città che ha centinaia di opere sconosciute al pubblico per carenza di spazi espositivi. E allora perchè non esporle, con le cure e i sistemi di sicurezza necessari, nei grandi alberghi di Siracusa? ».
La proposta è al centro di un dibattito nazionale incentrato sulla necessità di rivedere e correggere la gestione del patrimonio culturale da parte degli enti pubblici, a cui hanno contribuito storici dell’arte e operatori culturali.
La proposta di esporre negli alberghi le opere e i reperti custoditi nei depositi dei musei è stata accolta con favore da Federalberghi e Federculture e con interesse dal sottosegretario ai Beni culturali. Ma ha anche ricevuto una serie di contestazioni a partire da quella dello storico dell’arte Tomaso Montanari preoccupato di di stravolgere il significato dei musei e il valore del patrimonio stesso inserito in un preciso contesto. Sull’argomento è intervenuto anche Vittorio Sgarbi il quale ricorda come alcuni grandi capolavori dell’arte italiana sono esposti già negli alberghi
come il Trittico di Tiepolo che si trova al Waldorf Astoria di Roma. E anche il critico d’arte Philippe Daverio aveva evidenziato come un bene archeologico custodito in un museo del Sud possa essere esposto - in modo ben protetto, quindi in una teca - e divenire motivo di richiamo culturale. Ma Daverio aggiungeva anche di predisporre accanto alla teca un depliant del museo da cui proviene l’opera e, ancora, pensare a un’app che possa spiegare il reperto e il suo contesto storico.
(articolo di Isabella Di Bartolo pubblicato sul quotidiano La Sicilia, riproduzione riservata)
I musei di Siracusa sono zeppi di opere d’arte. Lo
sono anche i locali della Soprintendenza sparsi per la provincia, alcuni dei
quali anche scarsamente curati come l’ex caserma Caldieri dove le cassette
contenenti i reperti trovati durante gli scavi archeologici sono lasciati in
balia di se stessi.
Il problema - si sa - sono i soldi. Soprattutto quando si parla di patrimonio culturale, la questione economica diviene ancor più spinosa con buona pace degli introiti di aree archeologiche e gallerie nelle casse della Regione che servono soprattutto a pagare gli stipendi dei dirigenti. E allora che fare? I direttori dei musei siracusani si ingegnano come possono. Al “Paolo Orsi”, Gioconda Lamagna ha allestito una mostra nel Medagliere del museo esponendo alcuni tesoretti da sempre custoditi nei depositi e dando vita a un evento sotto l’egida del British museum che ha prestato gli ori di Sant’Angelo Muxaro e i gioielli del ripostiglio di Avola.
La Galleria di Palazzo Bellomo ha invece inaugurato un nuovo spazio, dopo un decennio di attesa, di sua proprietà. Si tratta della Torre dell’Aquila del Foro italico che, da pochi giorni, è stata aperta al pubblico. «Per l’occasione - dice la direttrice Giovanna Susan - abbiamo esposto alcune ceramiche delle nostre collezioni». L’intento è quello di allestire altre mostre per far ammirare al pubblico i tesori custoditi nei depositi dei musei.
«I musei aretusei custodiscono all’interno dei loro magazzini un grande tesoro di manufatti antichi e di opere d’arte - commenta l’archeologo Santino Cugno - Purtroppo molti di questi oggetti hanno bisogno di essere adeguatamente conservati, restaurati, studiati e valorizzati. In particolare si dovrebbe dar vita ad una serie di iniziative culturali che, seguendo le indicazioni dell’archeologia pubblica che auspica un maggior coinvolgimento di tutta la società nel mondo dell’archeologica, possano da un lato favorire l’accesso degli studiosi per motivi di studio e dall’altro permettere a tutta la comunità di godere della visione di un mosaico di frammenti poco conosciuti di storia del territorio e del proprio passato».
Ben vengano, dunque, le grandi mostre del “Paolo Orsi” e del Bellomo con l’esposizione di alcuni pezzi inediti o poco conosciuti, rimasti per anni chiusi nei polverosi magazzini del museo. «Eventi di questo tipo rappresentano un arricchimento dell’offerta culturale provinciale - aggiunge l’archeologo - che a volte è carente in originalità e innovazione, con un sicuro impatto di tipo sociale ed economico. Da questo punto di vista, se molto è stato fatto bisognerebbe però andare oltre: sfruttando internet e gli strumenti digitali, ad esempio, si potrebbe mettere online l’insieme delle schede descrittive, corredate da fotografie illustrative, e consentire a tutti di avere una piena consapevolezza della consistenza di questo “tesoro” inestimabile e praticamente sconosciuto ai più».
Il problema - si sa - sono i soldi. Soprattutto quando si parla di patrimonio culturale, la questione economica diviene ancor più spinosa con buona pace degli introiti di aree archeologiche e gallerie nelle casse della Regione che servono soprattutto a pagare gli stipendi dei dirigenti. E allora che fare? I direttori dei musei siracusani si ingegnano come possono. Al “Paolo Orsi”, Gioconda Lamagna ha allestito una mostra nel Medagliere del museo esponendo alcuni tesoretti da sempre custoditi nei depositi e dando vita a un evento sotto l’egida del British museum che ha prestato gli ori di Sant’Angelo Muxaro e i gioielli del ripostiglio di Avola.
La Galleria di Palazzo Bellomo ha invece inaugurato un nuovo spazio, dopo un decennio di attesa, di sua proprietà. Si tratta della Torre dell’Aquila del Foro italico che, da pochi giorni, è stata aperta al pubblico. «Per l’occasione - dice la direttrice Giovanna Susan - abbiamo esposto alcune ceramiche delle nostre collezioni». L’intento è quello di allestire altre mostre per far ammirare al pubblico i tesori custoditi nei depositi dei musei.
«I musei aretusei custodiscono all’interno dei loro magazzini un grande tesoro di manufatti antichi e di opere d’arte - commenta l’archeologo Santino Cugno - Purtroppo molti di questi oggetti hanno bisogno di essere adeguatamente conservati, restaurati, studiati e valorizzati. In particolare si dovrebbe dar vita ad una serie di iniziative culturali che, seguendo le indicazioni dell’archeologia pubblica che auspica un maggior coinvolgimento di tutta la società nel mondo dell’archeologica, possano da un lato favorire l’accesso degli studiosi per motivi di studio e dall’altro permettere a tutta la comunità di godere della visione di un mosaico di frammenti poco conosciuti di storia del territorio e del proprio passato».
Ben vengano, dunque, le grandi mostre del “Paolo Orsi” e del Bellomo con l’esposizione di alcuni pezzi inediti o poco conosciuti, rimasti per anni chiusi nei polverosi magazzini del museo. «Eventi di questo tipo rappresentano un arricchimento dell’offerta culturale provinciale - aggiunge l’archeologo - che a volte è carente in originalità e innovazione, con un sicuro impatto di tipo sociale ed economico. Da questo punto di vista, se molto è stato fatto bisognerebbe però andare oltre: sfruttando internet e gli strumenti digitali, ad esempio, si potrebbe mettere online l’insieme delle schede descrittive, corredate da fotografie illustrative, e consentire a tutti di avere una piena consapevolezza della consistenza di questo “tesoro” inestimabile e praticamente sconosciuto ai più».
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