giovedì 30 novembre 2017

Maquillage per la villa romana del Casale










La villa del Casale si rifà il look. Al via i lavori per la pulizia straordinaria dei mosaici del sito Unesco finanziati da uno sponsor privato - il Sicilia outlet village di Agira – e pronte a partire anche le operazioni di sistemazione dei tetti e delle grondaie intasate. 
“Questi ultimi sono lavori necessari – spiega la direttrice della villa romana di Piazza Armerina, Giovanna Susan – poiché non si eseguono dal 2012 e ciò ha provocato allagamenti e disagi a seguito delle recenti piogge. Si tratta quindi di interventi indispensabili per la sicurezza del sito a cui si affiancheranno quelli per la manutenzione del sistema elettrico”. Nelle scorse settimane, infatti, si sono verificati blackout con ovvi disagi per turisti e monumento; immediati i progetti firmati dal dirigente Liborio Calascibetta e approvati con urgenza dalla Regione.
Intanto proseguirà per tre mesi il restyling dei mosaici policromi della villa a cui stanno lavorando i restauratori della cooperativa ennese Properart impegnati nella pulizia delle preziose tessere colorate che danno vita a “quadri” unici al mondo. Sotto la guida di Raffaella Greca e Roberta Campo, il team composto da Angelina Castiglia, Marina di Majo, Gianfranco Miceli e Gineva Lo Sciuto è all’opera per ripulire i mosaici da polvere e detriti, oltre che da batteri e dai resti del guano dei piccioni che rappresentano un pericolo per l’incolumità delle opere d’arte che si snodano tra i corridoi e le stanze della villa del Casale. 


mercoledì 22 novembre 2017

Lentini, a spasso per i murales



Lentini si tinge di colori per spazzare via il degrado. 



Si chiama “Badia lost and found” il primo parco urbano della provincia siracusana che ha trasformato un rione in abbandono in un luogo di ritrovo colorato da murales realizzati da 13 artisti sulle pareti di case in oblio. Il progetto è di Italia Nostra e del suo presidente locale Giorgio Franco che, dopo aver ridato vita al palazzo Beneventano che era uno degli edifici storici più belli e dimenticati del Siracusano, adesso ha sperimentato la rigenerazione urbana nel cuore della città. “L’obiettivo – dice Giorgio Franco - è fare della via monumentale dove si affacciano la chiesa SS. Trinità, palazzo Beneventano, largo Puccetti e la chiesa dell’Immacolata, una meta di arrivo e di attrazione di energie e talenti, dove i giovani restano per provare a creare un “futuro possibile”. Si punta a creare un nuovo senso di comunità e con il recupero dell’intero centro storico a trasformare la cittadina in meta turistica per diventare attrazione vera”. La formula è stata quella dell’ospitalità e dello studio della memoria dei luoghi, con l’estro di tredici artisti, talenti isolani e italiani: Salvo Muscarà, Roberto Collodoro, Gio Pistone e Nicola Alessandrini, Antonio Barbagallo, Agnes Cecile, Doriana Pagani, Ludovico Costa, Gianluca Militello, Corrado Inturri, Giuseppe Gusinu, Lorena Fisicaro ed Alice Loma.
Tra i disegni spiccano i simboli della grande storia di Lentini come la moneta con la testa di leone coniata dalla città in epoca greca, il filosofo Gorgia, le preziose arance del territorio e, ancora, un omaggio al poeta Jacopo da Lentini e ai suoi sonetti.

lunedì 18 settembre 2017

Centuripe, scoperta la dedica di un "istruttore" di palestra del II secolo avanti Cristo

La dedica di un istruttore di palestra speciale è stata trovata tra le case del centro storico di Centuripe, nascosta in una parete. Un frammento di una lastra di calcare locale con iscrizione databile al II sec. a.C. racconta un pezzo della vita quotidiana della cittadina greca. 
E' stato il giovane Alessandro Barbagallo a trovare il reperto murato nella parete di un’abitazione e riutilizzata come materiale da costruzione. Una volta scoperta l’iscrizione, ha immediatamente contattato il presidente della Sede SiciliAntica di Centuripe, Giordana La Spina. 


Per accertare l’interesse archeologico della scoperta è stata interpellata la Prof. Antonietta Brugnone già titolare della cattedra di Epigrafia greca presso l’ Università degli Studi di Palermo, e tra i massimi esperti a livello nazionale che ha stabilito che : “L’iscrizione si svolgeva su almeno cinque linee di scrittura. si tratta della dedica di un ginnasiarca (o di più ginnasiarchi) alle divinità protettrici del ginnasio, Hermes ed Eracle. 
Circa settant’anni fa, a poche decine di metri dal rinvenimento odierno, fu rinvenuto un frammento di marmo con analoga iscrizione ciò dunque farebbe pensare all'esistenza di un luogo di culto ancora tutto da scoprire e studiare.

Il presidente regionale di SiciliAntica Simona Modeo si è complimentata con lo scopritore per l’eccezionale rinvenimento e con la Sede locale che, anche in questa occasione, si è dimostrata un punto di riferimento per la difesa dei beni culturali. Il ginnasiarca era il capo del ginnasio, un’istituzione che costituiva il centro del sistema educativo greco. Nel ginnasio i giovani, divisi per classi di età, si esercitavano in varie discipline sportive (corsa, lancio del disco e del giavellotto, pugilato) e nelle arti militari, partecipavano ad attività sociali, agoni, cerimonie religiose, frequentavano le lezioni degli insegnanti di materie letterarie e musica. Il ginnasiarca era un personaggio di spicco all’interno della comunità che nell’esercizio del suo mandato doveva governare il personale addetto agli edifici, coordinare l’opera dei maestri delle varie discipline o, nei centri più piccoli, sostituirsi ad essi. In Sicilia le fonti letterarie ed epigrafiche documentano l’istituto della ginnasiarchia a Solunto, Segesta, Lilibeo, Agrigento, Licata, Haluntium, Tindari, Civita di Paternò, Centuripe, Tauromenio, Acrae, Noto, Eloro, Siracusa.

giovedì 14 settembre 2017

Catania, una notte al Monastero dei Benedettini



Luci e Ombre al Museo: i percorsi guidati serali al Monastero e al Museo di Archeologia | Officine Culturali

Sabato 16 settembre si svolgeranno le visite guidate serali del Monastero dei Benedettini di San Nicolò l'Arena e del Museo di Archeologia dell’Università di Catania, un’occasione per conoscere e scoprire in notturna uno dei conventi più grandi d’Europa e la storia dell’archeologia catanese.



Dalle ore 20.30 alle 23.30 le guide di Officine Culturali accompagneranno gli ospiti all’interno del Monastero dei Benedettini: come in un viaggio nel tempo i visitatori si sposteranno dall’epoca dei romani fino ai giorni nostri ripercorrendo più di 2000 anni di storia. La visita guidata dura un’ora e un quarto circa nella penombra della notte tra sotterranei e giardini. Le guide descriveranno tutti gli ambienti e sveleranno i miti, le leggende e la storia controversa di un'architettura che è ostentazione del potere e del gusto dell'ordine cassinese.

Alle 20.30, 21.30 e 22.30 i visitatori potranno anche visitare il Museo di Archeologia che occupa cinque stanze del Palazzo Ingrassia del Giardino di via Biblioteca, custodendo al suo interno la collezione Libertini risalente ai primi anni ’20 del secolo scorso, caratterizzata dalla presenza di reperti risalenti alla Preistoria e attraversando tutte le epoche arriva fino al ‘900 con i Falsi centuripini.

In occasione della "Notte dei Museo" il biglietto per i tour guidati al Monastero dei Benedettini e al Museo di Archeologia sarà ridotto per tutti i visitatori. Per la visita guidata serale è necessaria la prenotazione ai numeri 0957102767 | 3349242464 tutti i giorni, dal lunedì alla domenica, dalle 9.00 alle 17:00.

Le vie dei tesori in Sicilia: alla scoperta delle città nascoste

I fiumi, i papiri, le catacombe, il teatro, lo splendore candido di Ortigia. Difficile raccontare in poche righe Siracusa. Siracusa la greca che competeva con Atene, Siracusa patria di Archimede, Siracusa la capitale dell’Impero bizantino, Siracusa distrutta dal terremoto del 1693 e rinata barocca. Siracusa Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Siracusa che compie 2750 anni dalla sua Fondazione. è la città dove dominarono i Tiranni, da dove sono passati Greci e Aragonesi, che bandì gli ebrei e accolse il Caravaggio in fuga. Dove un Palazzo Arcivescovile nasconde anime e luoghi inediti, ma ci si può perdere tra ipogei e Latomie.

Il Festival Le Vie dei Tesori, dopo dieci anni di successi a Palermo, approda a Siracusa grazie alla volontà e al supporto dell’Assessorato regionale ai Beni culturali e alla collaborazione di tutte le istituzioni del territorio. L’inizio di una nuova sfida per una manifestazione insignita dalla medaglia di rappresentanza del presidente della Repubblica che, nella città in cui è nata, l’anno scorso si è chiusa con 215 mila visitatori in 15 giorni, quanti ne fa il Colosseo, il luogo più visitato d’Italia.
A Siracusa, Le Vie dei Tesori riaprono dopo oltre vent’anni il carcere ottocentesco voluto dai Borbone; poi scoprono la Cappella Sveva e il Carcere proprio nel cuore del Palazzo Arcivescovile; il parco di Villa Landolina che non è altro che il giardino del Museo archeologico Paolo Orsi, l’antichissima chiesa di San Martino e San Giovannello, a cielo aperto, oltre ai magazzini di Torre dell'Aquila che ospitavano le catapulte, e al S'AC, lo spazio per l’arte contemporanea nell'ex convento di Sant'Agostino. E saranno proprio Le Vie dei Tesori a inaugurare la nuova sede della biblioteca provinciale “Elio Vittorini”, con lo studio dello scrittore, i suoi manoscritti, le lettere e le cartoline private. Ma non ci si ferma qui, sono ventinove i luoghi di questa prima edizione, molti dei quali inaccessibili, tra chiese, cappelle, rifugi antiaerei, conventi.
Le Vie dei Tesori li racconterà in quella maniera inedita che è ormai il segno distintivo del Festival palermitano che dopo 10 anni ha deciso di allargarsi all’intera Sicilia, dopo aver guadagnato, per il secondo anno consecutivo, la medaglia di rappresentanza del presidente della Repubblica e i patrocini di Senato, Camera, Ministero dei Beni culturali, ed aver contribuito alla designazione di Palermo a Capitale della Cultura 2018. L’anno scorso Le Vie dei Tesori ha chiuso l’edizione 2016 con una ricaduta di ricchezza turistica per Palermo di oltre due milioni e mezzo di euro.

E così esplorerà – per due weekend, dal 15 al 17 settembre, poi dal 22 al 29, anteprima della nuova sfida del capoluogo, che sarà come da tradizione, nei cinque fine settimana di ottobre – la città sotterranea, la città religiosa, la città greca e la città ebraica. Un patrimonio straordinario che, con Le Vie dei Tesori, si mostra con l’orgoglio della sua storia: ai cittadini, che attraverso i luoghi, recuperano memoria e senso d’identità; e ai turisti, che già numerosi arrivano in città. Ventinove luoghi da scoprire grazie alla volontà dell’Assessorato regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana, e in collaborazione con le istituzioni del territorio. Interessanti e coinvolgenti le “passeggiate”, veri e propri tour immersivi a tema lungo i luoghi, condotte da specialisti, botanici, guide, appassionati.



Per due weekend di settembre, Siracusa aprirà le sue porte offrendo visite guidate con un contributo da 1 a 2 euro. E c’è pure Le Vie dei Tesori Card, per chi vuole sostenere il Festival e non perdersi nulla in tutte le città del circuito, in collaborazione con Trenitalia. Un passaporto per l’arte, con cui visitare la Sicilia come non l’avete mai vista.
Le Vie dei Tesori quest’anno racconterà anche Agrigento, Messina e Caltanissetta, prima di dedicarsi come sempre a Palermo dove l’anno scorso ha raccolto un successo veramente straordinario. E dove quest’anno, nei cinque weekend compresi tra il 29 settembre e il 29 ottobre, aprirà 110 luoghi, 110 tour urbani, organizzerà una grande Notte bianca dell’Unesco, un Festival tutto dedicato ai bambini e un calendario di incontri, concerti, spettacoli.

lunedì 26 giugno 2017

A Catania, tra terme romane e tombe di cavalieri templari

Tra terme romane e tombe di cavalieri templari:
Il Complesso Monumentale della Rotonda

Impianto termale romano, chiesa bizantina, necropoli medievale e tanto altro ancora: è incredibile ciò che è stato e ciò che è ancora oggi il sito della Rotonda, una sorta di libro di storia della città di Catania, un monumento da leggere in maniera diacronica per apprezzarne a pieno tutto il suo valore.
L’edificio in questione è certamente uno dei più rappresentativi dell’identità del capoluogo etneo, forse persino il più importante da questo punto di vista, come dimostra l’enfasi con la quale è raffigurato nella cartografia storica cittadina, ingigantito ed in posizione gerarchica o centrale rispetto alle altre strutture, tanto che secondo alcune ricostruzioni può essere addirittura considerato come la prima cattedrale della città.
Ben presente nella tradizione locale, il complesso della Rotonda era difatti ritenuto il più antico tempio di culto etneo, nonché Pantheon pagano convertito in chiesa cristiana, consacrata da Pietro alla Vergine Maria nel 44 d.C.
Tale versione “tradizionale” è attestata anche nei primi studi moderni su Catania, sin dal Fazello, storico del XVI secolo e autore del “De Rebus Siculis Decades Duae”, mirabile esempio di topografia storica e archeologica.
Il primo a confutare questa tradizione fu il Principe di Biscari che, nel XVIII secolo, riuscì ad identificare nel sito un complesso termale di epoca romana e seppur non supportata da scavi tale intuizione si rivelò, almeno in parte, vera.
Egli, avendo osservato le vestigia di alcune terme romane rinvenute in aree limitrofe, ipotizzò l’esistenza di un grande complesso termale cittadino, che comprendesse anche la zona della Rotonda.
In realtà terme pubbliche tanto imponenti sarebbero state possibili solo per Roma e pochissime altre città dell’Impero, la Catania di allora ,però, era comunque una città opulenta nella quale fiorivano, spesso a breve distanza tra loro, diverse strutture termali, talune pubbliche e talaltre private.
La tesi del Principe di Biscari fu poi confermata dagli scavi condotti nel dopoguerra dall’archeologo Guido Libertini, che hanno portato alla luce il complesso termale romano.
La struttura circolare della Rotonda sarebbe riconducibile ad un calidarium o ad un ninfeo della prima età imperiale, poi riutilizzata come chiesa sotto il titolo di Santa Maria della Rotonda.
La grande aula ha un impianto quadrato che attraverso un articolato sistema di arcate ed esedre determina al centro un grande spazio circolare, il quale è coperto da un’imponente cupola a tutto sesto; proprio questo è il motivo del singolare nome dato all’edificio.
A sud e ad est di questa struttura conosciamo altri nove ambienti facenti parte del complesso termale.
Edificata su un pendio a nord della Rotonda, una grande cisterna (castellum aquae) era collegata ad un ramo dell’antico acquedotto che serviva a rifornire le terme, ma non solo, difatti il complesso monumentale doveva far parte di un grande sistema di adduzione delle acque che approvvigionava l’intera città.
A partire dal VI secolo, quando l’impianto termale venne dismesso e la Rotonda fu trasformata
in una chiesa, questa cisterna fu divisa in due ed entrambi i vani che se ne ricavarono furono
messi al servizio di essa.
All’esterno della struttura e negli ambienti dell’ex sacrestia è stata messa in luce una vasta
area cimiteriale risalente al IX secolo ma utilizzata almeno fino al tardo rinascimento.
Nella fattispecie sono state rinvenute numerose sepolture singole a fossa, nelle quali il corpo
del defunto era stato adagiato sulla nuda terra e poi ricoperto con blocchi di pietra lavica, un
tipo di sepoltura molto comune in epoca medievale.
Vi era addirittura un settore riservato all’inumazione dei bambini, mentre un fatto davvero
peculiare è che probabilmente ci fosse anche una tomba musulmana (almeno ciò ci
suggerisce la posizione in cui il corpo è stato deposto nella fossa).
In qualche caso, rimuovendo le pietre di copertura delle sepolture, sono stati rinvenuti scheletri
ottimamente conservati di uomini alti fra i 170 e 175 cm, una statura che in Sicilia era di gran
lunga superiore alla media dell’epoca (XII / XIII sec).
A chi potevano appartenere questi corpi?
Un enigma coinvolgente al quale non si è ancora in grado di dare una risposta certa, si
possono però formulare delle congetture tanto affascinanti quanto appropriate.
Nulla, infatti, ne ha permesso un’esatta identificazione, però gli archeologi hanno potuto datare
lo strato pertinente grazie al rinvenimento di una gran quantità di ceramiche del XII e XIII
secolo.
L’ ipotesi espressa dalla dottoressa Maria Grazia Branciforti, che effettuò gli scavi dal 2004 al
2008, è estremamente suggestiva, in quanto suggerisce che si possa trattare delle sepolture di
Cavalieri Templari.
Questo confermerebbe una controversa tesi secondo cui Federico II avrebbe concesso la
chiesa della Rotonda come luogo di culto proprio ai Templari.
Una tesi che rende questo luogo, che già trasuda storia da ogni sua pietra, ancora più
affascinante ed ammantato di mistero.

Alessio La Vina 

domenica 25 giugno 2017

Ad Avola una piccola "Stonehenge" siciliana



Chi ha costruito i dolmen a Cava dei Servi, Cava Lazzaro, Avola? Lo studio di due archeologi siracusani getta un fascio di luce su un argomento affascinante e poco conosciuto. Nell'antica età del bronzo, circa 4.200 anni fa, si diffusero in Europa grandi costruzioni ad uso funerario che in Sicilia si ritrovano in forma più ridotta. Dei loro costruttori si conosce poco, ma lo studio di due archeologi preistorici, Salvo Piccolo e Alessandro Bonfanti, è rivolto a dissolvere la nebbia che aleggia sul popolo che li ha realizzati nella nostra isola. I due studiosi indagano da anni il contesto antropologico che gravita intorno alle strutture siciliane, giungendo a evidenti risultati.

Dolmen, menhir e cromlech – dice lo studioso, saggista e cultore di documentato di archeologia Salvo Piccolo – sono monumenti preistorici in pietra diffusi un po' ovunque. I primi, costituiti da due pilastri e un lastrone orizzontale sovrapposto, contenevano  defunti; i secondi erano segnacoli funerari, allineati e infissi verticalmente nel terreno a indicare, probabilmente, la via astrale per l'aldilà (ad esempio i menhir di Carnac, in Francia). I cromlech, invece, erano costruzioni di forma circolare, all'interno dei quali si ingenerava un circuito cultuale sollecitato dalle osservazioni astrali. Com'è facile intuire, si trattava di architetture elaborate, testimoni di conoscenze astronomiche sorprendenti che ben si prestavano agli esoterismi religiosi”.
Ma chi erano i costruttori di queste meravigliose strutture e, soprattutto, com'erano? “Il megalitismo europeo – risponde Alessandro Bonfanti, esperto di culture nordiche e autore di una prossima e documentata pubblicazione sull’argomento  – ha un'origine remota che accomunava gli Indoeuropei sparsi per il continente. A partire dal Mesolitico (8000 a.C.), nel sud della Scandinavia, in Danimarca, nel Nord della Germania e nella Pomerania polacca si svilupparono diverse culture che, nel III millennio a.C., originarono l’enigmatico “bicchiere campaniforme”, (vedi foto) giunto in Sicilia assieme ai più noti dolmen, costruzioni funerarie consone a una società patriarcale e guerriera volta ai culti celesti e solari, com’era nella tradizione dei popoli nordici indoeuropei”.
“Queste architetture – continua Piccolo – scartata una matrice ideologica e spirituale mediterranea, legata più alla terra, si rivolgono al Sole, punto di riferimento vitale dell’Europa preistorica del nord avvolta nel gelo. Gli allineamenti dei megaliti non sono casuali, ma determinati attraverso osservazioni astrali: dal modo in cui venivano disposti era possibile ricavare il punto esatto dell'astro solare al suo sorgere, le precise cadenze stagionali, il divario temporale tra anno lunare e quello solare”.
Un gruppo indoeuropeo costruttore di megaliti – prosegue lo studioso e documentato Bonfanti –  intorno alla seconda metà del VI millennio a.C. si spinse verso sudest, stabilendosi con i suoi modelli culturali e religiosi lungo il medio corso del Danubio. Questa zona diventò centro nevralgico dei commerci dei popoli nordici (Germania settentrionale, Danimarca) e consentì a gruppi di essi di allargarsi verso le coste dell'Atlantico e le isole britanniche per impiantarvi nuovi traffici. Due millenni più tardi un’ondata migratoria di quello stesso ceppo scese verso sud (Baleari, Sardegna e Sicilia) e incrociò, intorno al 2.600 a.C., la cultura del “bicchiere campaniforme” proveniente dalle lande nordiche del lato opposto, che si impose come nuova cultura proto-celtica. Il corredo funerario di questo periodo, dalla Germania settentrionale a scendere, da una parte, le isole britanniche, la penisola iberica e la Sicilia dall'altra, è molto simile (dal “brassard”, un bracciale da polso per arcieri, ai vasi campaniformi e altro). Inaspettatamente simili sono pure le inumazioni in “ciste litiche”, nonché la costituzione ossea e la forma cranica degli inumati: ossa appartenenti a persone alte e robuste, con cranio dolicomorfo (allungato) e area sopra-mastoidea molto accentuata (caratteristiche rinvenibili nella facies sicana di Castelluccio). Crani di questo tipo si ritrovano in parecchi  depositi di musei siciliani”. “Era questo – conclude Salvo Piccolo – il popolo dei dolmen: individui molto alti, di corporatura nordica, dolicomorfi. In altre parole, Indoeuropei”.