mercoledì 29 gennaio 2020

Il Colosseo di Siracusa, tra coccodrilli e gladiatori


Il monumento romano tra i più grandiosi della Sicilia si trova a due passi dal Teatro greco di Siracusa. Dentro la Neapolis, si trovano i resti maestosi dell’Anfiteatro romano di Siracusa, il “Colosseo” della città. 

Negli scorsi anni, un'operazione di restyling e riallestimento voluti dalla Soprintendenza ai beni culturali aretusea è servita non solo per mettere in sicurezza e restaurare le parti più delicate del monumento imperiale ma soprattutto per consegnarlo alla fruizione, per la prima volta, nella sua integrità. L’Anfiteatro romano, infatti, è adesso circondato da passerelle in cocciopesto e legno che permettono ai turisti di passeggiare lungo l’anello ellittico del monumento, ammirandone prospettive del tutto nuove e godendo di spazi ritrovati lungo l’area archeologica che giunge sino a lambire l’Ara di Ierone. Nasce così un belvedere con panchine e sentieri tra la natura e l’archeologia con vista sulle vestigia del grandioso monumento. Ma non solo: l’Anfiteatro è accessibile in toto dai visitatori con difficoltà motorie e disabilità grazie a percorsi ad hoc e legende in braille.  I percorsi turistici si snodano su due livelli oltre che all’interno di qualche galleria che, per la prima volta, potrà essere calpestata sulle orme dei gladiatori. 


L’intervento di restauro ha riguardato anche il “cuore” dell’Anfiteatro: la sua arena che è stata bonificata, illuminata e protetta da una ringhiera da cui i turisti potranno affacciarsi per ammirare la cosiddetta “fossa dei leoni”. Tante e suggestive le leggende legate a questo luogo fascinoso tra cui quelle delle lotte cruente fra i gladiatori, i giochi acquatici con i coccodrilli e la presenza di ospiti vip in platea tra cui persino il sanguinario Caligola. 

L’Anfiteatro romano è il simbolo dei fasti della Siracusa imperiale collegata, dalla via lata et perpetua, al resto della città. Nello stesso sito sono ancora da scoprire le abitazioni ellenistiche nascoste tra le erbacce e, ancora, l’arco di trionfo augusteo di cui restano le fondamenta. Ma anche l’ippoparco dove i siracusani di età romana posteggiavano le bighe o lasciavano i cavalli, con tanto di abbeveratoio.
Isabella di bartolo

Il museo del Tempo a Canicattini Bagni, tra tessuti antichi, ricordi degli emigranti e medicina popolare


Un luogo sospeso nel passato di cui rievoca le radici più identitarie di un popolo. Un viaggio che parte nel cuore dei monti Iblei, in una cittadina intarsiata di Liberty: Canicattini Bagni. Qui si trova il Museo del Tempo; un nome che è in realtà un suggestivo acronimo perché indica il Museo del Tessuto, dell’Emigrante e della Medicina popolare. Un percorso espositivo che si snoda nei locali di via De Pretis dove sale e luoghi rievocano le tradizioni della Sicilia. 

Il Museo del Tempo nasce grazie alla passione per il passato e alla difesa per gli usi e i costumi popolari profusi da un gruppo di studiosi locali: Tanino Golino, Paolino Uccello, Carmelo Santoro e Cettina Uccello. Sono stati loro che, mossi dalla volontà di salvaguardare un tesoro fatto di tradizioni, hanno ripreso dapprima le usanze tipiche del territorio canicattinese legate alla lavorazione della canapa e del lino e hanno voluto far rivivere così uno spaccato della vita di un tempo. Il risultato è stato un viaggio a ritroso nei secoli fatto di un’eredità che risale al Medioevo e giunge sino agli inizi degli anni Venti.
In mostra c’è la vita del passato a partire da quella degli emigranti raccontata attraverso le lettere, le cartoline e le fotografie inviate da chi aveva lasciato Canicattini per trovare fortuna in America. Tra le vetrine c’è quella corrispondenza d’amorosi sensi che rievoca un momento storico impresso nella memoria delle generazioni passate e tramandato a quelle moderne. Sono così esposte le valigie di cartone e i biglietti del viaggio oltreoceano, ma anche i primo oggetti portati da chi tornava dall’America al suo paese stupendo i parenti con i primi rasoi elettrici o le carte da gioco made in Usa. Il secondo percorso espositivo è poi quello del Tessuto e dunque legato al gineceo che caratterizzava le famiglie del secolo scorso dove la figura della donna era il simbolo della casa. Suggestive le stoffe e i ricami che narrano i momenti più intimi della vita femminile dell’epoca: dal corredo nuziale a quello dei bambini. E poi il telaio e i capolavori che l’estro e l’abilità delle donne riuscivano a creare. <Il corredo della sposa – dice l’etnoantropologo Paolino Uccello – è legato al momento fondamentale della vita della donna. Più i bauli erano ricchi di ricami, più la sposa aveva lustro. Per questo non si badava a spese per realizzarlo e veniva messo in mostra nella casa della promessa sposa, per farlo ammirare dai parenti e dare sfoggio di ricchezza>. 



Lo storico Pitrè scriveva come fosse usanza comune in Sicilia la cosiddetta “faccenda del pettine".
"La madre del futuro sposo – racconta Uccello - con un pretesto si recava nella casa della sposa promessa per chiedere un pettine da telaio. Questo contatto fra futura suocera e nuora era molto importante, perché tutto il matrimonio dipendeva dal riscontro positivo o negativo che la suocera ne ricavava. Se la ragazza al momento dell’incontro oziava, allora veniva definita pigra, “lagnosa”; se la futura suocera l’avesse trovata intenta a mangiare, ancora peggio: avrebbe mandato la casa in rovina. Se invece la futura moglie fosse stata trovata intenta a tessere al telaio, allora, questo sarebbe stato il simbolo di un lieto inizio e di un buon matrimonio, ricco di figli>. Questo significativo momento legato alla tradizione più antica della Sicilia vede protagonisti sia il telaio che il fuso, strumenti non solo di lavoro, ma anche del destino che, nelle credenze popolari, doveva essere in tutti i modi indirizzato ed esorcizzato.
Le ultime sale del Museo del Tempo sono quelle più magiche perché raccontano le usanze di filtri e medicamenti dalle radici antichissime. In mostra ci sono piante medicinali e altre usate nella vita quotidiana come, per esempio, quelle con le quali di tinteggiavano i tessuti rievocando le tecniche dell’antico Egitto. E ancora filtri d’amore, contro il malocchio e le altre credenze dell’epoca. Sugli scaffali, tra alambicchi e recipienti di vetro, anche la mistura per far innamorare un uomo mescolando qualche pelo della barba di un monaco al sangue più intimo della donna, oltre a varie radici e piante essiccate condite da nenie e preghiere. 
Isabella Di Bartolo 

giovedì 9 gennaio 2020

Himera, in mostra la scoperta del tempio della Vittoria



Un museo nel museo a Himera. All’interno del percorso espositivo del Museo Pirro Marconi, nella sezione dedicata al tempio della Vittoria, saranno esposte per la prima volta una serie di foto d'epocache ripercorrono la storia di una grande scoperta. 

Tra il 1929 e il 1930 Pirro Marconi realizzava  lo scavo che avrebbe portato alla rimessa in luce del Tempio della Vittoria, costruito nel 480 a.C. a Himera per celebrare la vittoria dei Greci sui Cartaginesi; in quell’occasione scopriva lo straordinario complesso di gronde leonine rinvenute in crollo ai piedi dei lati lunghi del tempio.

La mostra ripercorre per immagini alcune fasi di quello scavo fino alla presentazione al pubblico delle nuove scoperte e completa la già ricca documentazione che correda l’esposizione del nuovo polo espositivo imerese, inaugurato nell’estate del 2016 proprio nell’area accanto al Tempio della Vittoria.