mercoledì 4 novembre 2015

Demetrio Paparoni, l'arte di amare l'arte






La Sicilia è un’isola poco felix quando si parla di aprire le sue porte al mondo internazionale della cultura. Poco felix per chi è mosso dall’amore sfrenato per l’arte e vuol vivere di questo nella sua terra. Ma è ricca, ricchissima di talento e talenti. Demetrio Paparoni ha la Sicilia nel cuore ma la guarda con l’amaro distacco di chi ha dovuto andar via per seguire la propria strada. Critico d’arte e curatore di fama mondiale, vanta una lunga e poliedrica carriera: scrittore, docente universitario e persino pater della voce "Arte contemporanea e iconografia religiosa" per l’enciclopedia Treccani. Tra le mostre da lui curate quelle alla Biennale di Venezia nel 1993, al Palacio de Velasquez di Madrid e alla Galleria d’arte Moderna di Barcellona. Ha rappresentato I’Italia agli Incontri Internazionali della Critica di Buenos Aires; su incarico dell’Istituto di Cultura Italiano a Tel Aviv ha curato nel 2007 Mentalgrafie/Viaggio nell’arte contemporanea italiana: la più grande mostra di arte italiana finora realizzata in Medio Oriente. Suoi i testi di monografie per mostre antologiche in Italia dedicate ad Andy Warhol, Keith Haring, David Lachapelle, Roy Lichtenstein e le collaborazioni attuali da saggista con riviste di Shanghai e Santiago del Cile. Insomma, un cittadino del mondo dell’arte con radici siciliane, siracusane per l’esattezza.
Ed è da questa consapevolezza che Paparoni accenna alla situazione culturale attuale nell’Isola. Senza alcun disincanto. <Chi si occupa di arte antica e contemporanea fuori dalla Sicilia non ha un’idea della vita culturale in Sicilia. Questo perché dai media non mi pare che arrivino molte notizie riferite a mostre nell’Isola. Aspettare che le risposte alla mancanza di attenzione nei confronti di arte contemporanea vengano dalla gestione politica della cosa pubblica non è certo la strada giusta: alla politica è dato garantire strutture espositive capaci di avere un forte indotto economico. Le risposte devono venire dal privato. Milano, per esempio, ha molte fondazioni private che hanno un'attività strepitosa. A Milano, come a Torino e come molte altre grandi città europee è insomma la borghesia prima ancora che la politica a rendere viva l'immagine culturale delle città. Si pensi al ruolo delle gallerie: espongono opere da vendere che qualcuno compra e così facendo finanzia il lavoro e la ricerca degli artisti. Quanti collezionisti di rilievo e gallerie private presenti nelle fiere internazionali ci sono in Sicilia?>
L’impulso alla diffusione dell’arte in tal senso è dunque legato, secondo il critico, alla capacità dei mecenati. O meglio all’apertura della realtà siciliana a queste figure. <La quasi totalità delle mostre pubbliche è finanziata da produttori privati che, a fronte del rischio economico, traggono un utile da una forte percentuale sul prezzo del biglietto. Anche le case editrici rischiano per i cataloghi: li finanziano e traggono un utile dalle vendite. Il Comune o la Provincia o la Regione da parte loro mettono a disposizioni gli spazi e il personale. In questo modo i costi delle grandi mostre gravano solo parzialmente sui bilanci pubblici>.
Tutto questo non accade anche in Sicilia perché, secondo Demetrio Paparoni, chi rischia dei soldi per fare una grande mostra vuol farla dove si sa che c'è un ampio pubblico disposto a pagare un biglietto per visitarla. <Chi spende milioni e milioni per regalare una fondazione alla città dove vive è disposto a farlo solo se ha una risposta di pubblico. E il pubblico è come la panna: cresce se gli dedichi tempo ed energia>.
Paparoni parla della Sicilia tentando di celare l’amarezza per questa sua terra bella ma lontana dalla consapevolezza culturale che connota le altre parti del mondo. Che è linfa vitale di città vicine eppure lontanissime. <Tutti aspirano a far qualcosa nel luogo in cui sono nati – dice Demetrio Paparoni - Ma far qualcosa in un luogo significa avere in quel luogo un referente, politico o privato che sia poco importa, capace di garantire che sia fatto un lavoro di qualità. Io sono più che interessato a far qualcosa in Sicilia e certamente so bene che non ci sarebbero i fondi per fare mostre tipo quella di Anish Kapoor che ho curato a Milano o quella di Wang Guangyi che ho curato al Mac di La Coruna, in Spagna. Ma al di là dei soldi a disposizione ci deve essere un punto fermo: qualunque mostra si fa in Sicilia deve rispondere agli stessi criteri professionali con cui si lavora altrove>. 
(articolo di Isabella Di Bartolo, riproduzione riservata)

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