sabato 14 novembre 2015

Franceschini: "Fuori i reperti dai magazzini". E scoppia la rivoluzione "culturale"

«I capolavori chiusi nei depositi delle grandi gallerie tornino nei musei delle città da cui provengono per una nuova valorizzazione». Il diktat è del ministro ai Beni culturali, Dario Franceschini, e prende le mosse dalla decisione di lasciare nella “sua” casa, a Cerveteri, il capolavoro di Eufronio: il cratere rubato dai tombaroli, esportato in America e restituito nel 2006 dal Met di New York al Museo etrusco di villa Giulia.
Ma Franceschini dice di più. E suggerisce di aprire le porte dei magazzini per esporre i tesori meno conosciuti per avviare una promozione moderna, virtuosa e meno statica della cultura museale. Un’operazione che rivoluzionerebbe i musei siciliani a partire da quelli aretusei dove sono custoditi tesori provenienti da varie parti dell’Isola, a seguito di indagini archeologiche e acquisizioni varie, anche in virtù del vecchio assetto delle soprintendenze regionali suddivise per macro-aree.
Il museo archeologico regionale “Paolo Orsi”, che è tra i più importanti al mondo per la sua ricca silloge di reperti, vanta depositi preziosi che certamente - come accade in altre realtà museali - meriterebbe visite ad hoc. Lo stesso discorso vale per la Galleria regionale di Palazzo Bellomo. Non si tratta di magazzini con opere d’arte stipate e dimenticate, bensì di luoghi ricchi di storia che sono “polmoni” dei musei, necessari per la loro stessa sopravvivenza.

Depositi, spesso a cielo aperto, anche nei locali di proprietà della Soprintendenza ai beni culturali aretusea. Ma la questione è qui più complicata poiché il comprensorio siracusano è molto vasto e ricco di testimonianze ritrovate nel corso del tempo che ancora non hanno avuto giusta collocazione. La soprintendente ai Beni culturali, Rosalba Panvini, ha già avviato una strada innovativa con l’allestimento di una mostra in occasione della festività dei Defunti che ha visto insieme i musei Iblei per l’esposizione di molti oggetti inediti custoditi, appunto, nelle sale nascoste dei musei.
L’idea di aprire i depositi dei musei per esporre le opere d’arte chiuse era stata lanciata da Culturalia in occasione di un forum sulla gestione del patrimonio. Un’idea molto ardita perché propone di esporre i reperti negli alberghi cittadini ripresa da Salvo Sorbello, consigliere comunale di opposizione che si sofferma appunto sul paradosso siracusano (e siciliano) legato alla mole di patrimonio storico custodito nei musei e nei depositi di quest’ultimi, oltre che in quelli della Soprintendenza. Una grandiosa quantità di reperti rinvenuti in occasione delle indagini archeologiche o parte di collezioni private donate o acquisite dagli enti pubblici. Opere d’arte e resti del passato di grande valore, che restano chiusi nei magazzini invece di poter diventare oggetto di ammirazione per turisti e contribuire a vivacizzare l’offerta culturale a disposizione della città.

«Ogni idea può certamente essere migliorata - dice Sorbello - ma parliamo di una opportunità per la città che ha centinaia di opere sconosciute al pubblico per carenza di spazi espositivi. E allora perchè non esporle, con le cure e i sistemi di sicurezza necessari, nei grandi alberghi di Siracusa? ».
La proposta è al centro di un dibattito nazionale incentrato sulla necessità di rivedere e correggere la gestione del patrimonio culturale da parte degli enti pubblici, a cui hanno contribuito storici dell’arte e operatori culturali.
La proposta di esporre negli alberghi le opere e i reperti custoditi nei depositi dei musei è stata accolta con favore da Federalberghi e Federculture e con interesse dal sottosegretario ai Beni culturali. Ma ha anche ricevuto una serie di contestazioni a partire da quella dello storico dell’arte Tomaso Montanari preoccupato di di stravolgere il significato dei musei e il valore del patrimonio stesso inserito in un preciso contesto. Sull’argomento è intervenuto anche Vittorio Sgarbi il quale ricorda come alcuni grandi capolavori dell’arte italiana sono esposti già negli alberghi
come il Trittico di Tiepolo che si trova al Waldorf Astoria di Roma. E anche il critico d’arte Philippe Daverio aveva evidenziato come un bene archeologico custodito in un museo del Sud possa essere esposto - in modo ben protetto, quindi in una teca - e divenire motivo di richiamo culturale. Ma Daverio aggiungeva anche di predisporre accanto alla teca un depliant del museo da cui proviene l’opera e, ancora, pensare a un’app che possa spiegare il reperto e il suo contesto storico.
(articolo di Isabella Di Bartolo pubblicato sul quotidiano La Sicilia, riproduzione riservata)  

 I musei di Siracusa sono zeppi di opere d’arte. Lo sono anche i locali della Soprintendenza sparsi per la provincia, alcuni dei quali anche scarsamente curati come l’ex caserma Caldieri dove le cassette contenenti i reperti trovati durante gli scavi archeologici sono lasciati in balia di se stessi.
Il problema - si sa - sono i soldi. Soprattutto quando si parla di patrimonio culturale, la questione economica diviene ancor più spinosa con buona pace degli introiti di aree archeologiche e gallerie nelle casse della Regione che servono soprattutto a pagare gli stipendi dei dirigenti. E allora che fare? I direttori dei musei siracusani si ingegnano come possono. Al “Paolo Orsi”, Gioconda Lamagna ha allestito una mostra nel Medagliere del museo esponendo alcuni tesoretti da sempre custoditi nei depositi e dando vita a un evento sotto l’egida del British museum che ha prestato gli ori di Sant’Angelo Muxaro e i gioielli del ripostiglio di Avola.
La Galleria di Palazzo Bellomo ha invece inaugurato un nuovo spazio, dopo un decennio di attesa, di sua proprietà. Si tratta della Torre dell’Aquila del Foro italico che, da pochi giorni, è stata aperta al pubblico. «Per l’occasione - dice la direttrice Giovanna Susan - abbiamo esposto alcune ceramiche delle nostre collezioni». L’intento è quello di allestire altre mostre per far ammirare al pubblico i tesori custoditi nei depositi dei musei.
«I musei aretusei custodiscono all’interno dei loro magazzini un grande tesoro di manufatti antichi e di opere d’arte - commenta l’archeologo Santino Cugno - Purtroppo molti di questi oggetti hanno bisogno di essere adeguatamente conservati, restaurati, studiati e valorizzati. In particolare si dovrebbe dar vita ad una serie di iniziative culturali che, seguendo le indicazioni dell’archeologia pubblica che auspica un maggior coinvolgimento di tutta la società nel mondo dell’archeologica, possano da un lato favorire l’accesso degli studiosi per motivi di studio e dall’altro permettere a tutta la comunità di godere della visione di un mosaico di frammenti poco conosciuti di storia del territorio e del proprio passato».
Ben vengano, dunque, le grandi mostre del “Paolo Orsi” e del Bellomo con l’esposizione di alcuni pezzi inediti o poco conosciuti, rimasti per anni chiusi nei polverosi magazzini del museo. «Eventi di questo tipo rappresentano un arricchimento dell’offerta culturale provinciale - aggiunge l’archeologo - che a volte è carente in originalità e innovazione, con un sicuro impatto di tipo sociale ed economico. Da questo punto di vista, se molto è stato fatto bisognerebbe però andare oltre: sfruttando internet e gli strumenti digitali, ad esempio, si potrebbe mettere online l’insieme delle schede descrittive, corredate da fotografie illustrative, e consentire a tutti di avere una piena consapevolezza della consistenza di questo “tesoro” inestimabile e praticamente sconosciuto ai più».

venerdì 13 novembre 2015

Andrea Carandini "turista" a Siracusa: "Non si svenda l'anima dei luoghi"

«Un’isola meravigliosa, da tutelare tenendo lontano il turismo di massa». Il monito è di Andrea Carandini, archeologo di fama mondiale e oggi presidente nazionale del Fondo ambiente italiano. Carandini è stato ospite in città nel corso di una breve, ma intensa, visita istituzionale tra le bellezze di Ortigia.
Il cuore della città aretusea è stata infatti la cornice di una sorta di assemblea regionale nel segno dell’arte a cui hanno preso parte i vertici del Fai delle 9 province dell’Isola. Un momento di riflessione sul connubio tra fruizione e salvaguardia del patrimonio che è tra i concetti a fondamento delle azioni profuse dai volontari Fai e che, in Sicilia, diviene una sfida.

Lo sa bene Andrea Carandini che ha voluto ammirare il nuovo volto di Ortigia dopo i restauri degli ultimi decenni che hanno reso l’isolotto ancora più ricco di suggestione e ridato lustro a scorci dimenticati, esaltando i monumenti più importanti del centro storico. «Non ricordavo che Siracusa fosse così bella - ha commentato l’archeologo - e non avevo memoria di quanto Ortigia fosse magnifica». Lo stesso commento che il presidente del Fai italiano ha espresso dinanzi ai resti dell’Apollonion: primo monumento del tour culturale di Carandini.
E poi ancora durante la passeggiata tra i dedali dell’isolotto, la chiesa di Santa Lucia alla Badia che ospita il capolavoro di Caravaggio, gli Ipogei e la Cattedrale che l’ha ammaliato con la stratificazione delle varie epoche custodite nel monumento.
«Il mio auspicio - ha detto - è che il turismo di massa non rovini questa silloge di bellezza che è Ortigia. Occorre fare il possibile per non svendere una città d’arte e storia qual è Siracusa». 
Una raccomandazione che Andrea Carandini ha rivolto agli amministratori e ai referenti del Fondo ambiente italiano per Siracusa, “padroni di casa” delle due giornate. «L’incontro è stato imperniato sulla necessità di stringere un legame sempre più forte tra le delegazioni regionali - dice Sergio Cilea, responsabile Fai insieme con Gaetano Bordone -. Per noi è stato motivo di grande orgoglio mostrare a chi si occupa di difendere e promuovere le bellezze territoriali, il volto di Ortigia dopo la sua rinascita nel segno del restauro. Non possiamo che accogliere il monito di Andrea Carandini volto a tutelare il nostro centro storico e favorire quel turismo culturale che è la sua connotazione naturale. Siracusa merita di essere meta di visitatori attenti e desiderosi di conoscerne l’anima, il suo patrimonio storico e artistico».
(articolo di Isabella Di Bartolo, pubblicato sul quotidiano La Sicilia) 

mercoledì 11 novembre 2015

La Galleria regionale di Palazzo Bellomo "sbarca" al Foro italico





Nuovo spazio museale per la Galleria regionale di Palazzo Bellomo che apre le sue porte all'arte contemporanea. Sarà Torre dell’Aquila il nuovo spazio espositivo dedicato alla ceramica contemporanea. La mostra inaugurale s’intitola “Ceramiche Mediterranee. Tra storia e sperimentazione" ed è stata realizzata in collaborazione con la Fondazione Orestiadi di Gibellina. <Un viaggio attraverso la storia della ceramica – dice la direttrice della Galleria Bellomo, Giovanna Susasn - dove le opere della collezione della Galleria di Palazzo Bellomo di Siracusa, dialogano con quelle provenienti da Gibellina. Un confronto tra la tradizione ceramica siciliana e la contemporanea produzione di maestri del design>.
Ma l’evento è legato soprattutto alla riapertura della Torre dell’Aquila dopo decenni di attesa e lavori. Il nuovo spazio espositivo amplia così la Galleria Bellomo che potrà esporre i suoi tesori e allestire mostre oltre che tra le sale di via Capodieci, dove ha sede lo storico palazzo, anche all’ex convento di Sant’Agostino di via Nizza e, appunto, da giovedì al Foro italico. <Un traguardo importante per la città che si riappropria di un luogo storico – dice l’architetto Susan -. Qui saranno allestiti eventi espositivi e momenti culturali anche in vista di una rinascita generale del sito dove si trovano assieme la Galleria Bellomo, gli Ipogei di piazza Duomo e il futuro volto della Marina di Siracusa>.
Un lavoro lungo avviato negli anni passati con il placet della Regione siciliana e curato da Fulvia Greco, architetto e responsabile unico del procedimento. <Abbiamo cominciato il restauro nel 2011 – afferma l’architetto Greco – e lo abbiamo portato a compimento con grande dedizione e fatica, si tratta di un grande risultato per l’assessorato regionale ai Beni culturali e per la Galleria Bellomo, con il forte sostegno della Soprintendenza, all’insegna della sinergia tra i vari attori che si sono succeduti. L’impegno è stato quello di usare i fondi europei, pari a circa 850mila euro, per regalare alla città uno spazio sconosciuto>. La Torre dell’Aquila è un edificio in abbandono da decenni, di proprietà del demanio, risalente all’età medievale usato di recente dalla Marina e poi dal demanio regionale come deposito militare. 

La Galleria Bellomo ha restaurato un salone a volta che sarà dedicato all’arte contemporanea ma non solo. In occasione dell’inaugurazione sarà allestita una mostra con una silloge di ceramiche dal XIV al XVIII secolo appartenente alla Galleria Bellomo a cui verranno affiancate opere di artisti contemporanei, grazie alla convenzione con la Fondazione Gibellina che ha concesso alcuni pezzi d’arte firmati da Pomodoro, Accardi, Consagra e una vetrina di giovani ceramisti siciliani.
Un confronto tra la tradizione ceramica siciliana e la contemporanea produzione di maestri del design, un’occasione per offrire alla fruizione reperti non compresi nell’usuale percorso espositivo e per conoscere alcune tra le più prestigiose produzioni artistiche attuali.
Isabella di bartolo

Falsi, saccheggi e misteri tra le sale del Museo archeologico dell'Università di Catania





Tesori ritrovati a Centuripe, monete della Magna Grecia scampate ai saccheggi del Dopoguerra, reperti provenienti da archeologi-mecenati e una silloge di falsi d’autore. E’ questo il patrimonio di 400 tesori ritrovato dall’Università degli studi etnea che sarà il nucleo del primo museo archeologico di Catania.
Non solo un museo ma anche una testimonianza di difesa del patrimonio archeologico a rischio come evidenzia Edoardo Tortorici, curatore dell’allestimento e docente di Topografia antica all’Ateneo di Catania. <Tutto risale agli inizi del Novecento quando Paolo Orsi e Guido Libertini tentarono di bloccare il traffico di reperti archeologici verso l’estero – dice il professore Tortorici –. Erano gli anni in cui Centuripe veniva sfregiata dagli scavi clandestini e i suoi tesori venduti a collezionisti internazionali. Un mercato che Orsi e Libertini cercarono di interrompere acquistando i reperti di particolare pregio che sono oggi il nucleo della collezione del museo archeologico dell’Università>.
Per salvare parte del patrimonio, ancora prima, alla fine dell’Ottocento, Orsi donò una cassetta di reperti provenienti dagli scavi di Megara Hyblaea all’allora rettore Schiapparelli come testimonia una corrispondenza tra i due studiosi che è servita alla ricostruzione dell’allestimento. <Fa parte del museo anche una parte della grande collezione di monete di monsignor Ventimiglia – aggiunge il docente Tortorici – purtroppo distrutta dai saccheggi del passato. Un tesoro di migliaia di monete antiche tra cui d’oro e d’argento che scomparve fino a quando, negli anni ’50, Libertini divenne rettore di Catania e fece un sopralluogo nei sottotetti di Palazzo dell’Università dove rinvenne due mobili settecenteschi, con i cassetti aperti e decine di monete per terra. Ritrovò così una parte della collezione Ventimiglia con preziosi numismatici di bronzo dall’età greca a quella bizantina>.
Monete che saranno esposte solo tra qualche mese nel nuovo museo per ragioni di sicurezza, mentre sono già state allestite le vetrine con vasi, terrecotte e altri preziosi reperti provenienti dalla Sicilia oltre che i due mobili ritrovati da Libertini e fatti costruire da monsignor Ventimiglia per custodire le sue monete antiche. Un patrimonio di grande valore di proprietà dell’Università etnea che si è arricchito negli anni: dopo il 1953 gli eredi di Libertini donarono la collezione del padre all’Ateneo e così altri mecenati. Una parte di questi reperti dell’antichità venne esposta dall’Istituto di Archeologia dell’Università in alcune bacheche lignee del Palazzo di piazza Università. Poi la scuola accademica venne spostata in via Sangiuliano dove rimasero i reperti con grandi proteste legate a ragioni di sicurezza che spinse la Soprintendenza a far spostare i materiali nei locali di Castello Ursino prima e a casa Vaccarini successivamente. <In questi ultimi anni – dice Tortorici – grazie a un progetto Catania-Lecce, l’istituto di Archeologia, la biblioteca e la facoltà si trovano insieme a Palazzo Ingrassia dove verrà inaugurato il museo>. Un lavoro affiancato da un pregiato catalogo firmato dal Tortorici e dalla sua èquipe di docenti e che verrà arricchito da Officine culturali con visite e progetti seguiti con passione ed entusiasmo dagli esperti guidati da Ciccio Mannino. 

Tra le curiosità del nuovo museo vi è la sezione dedicata ai falsi. Per la prima volta, infatti, viene data dignità a reperti che narrano un aspetto importante dell’archeologia. <Molti pezzi di Centuripe venivano perfettamente riprodotti da un’officina specializzata appartenente alla famiglia Biondi, un restauratore che aveva lavorato al museo di villa Giulia e dunque di grande esperienza e bravura – racconta Tortorici – tanto da aver venduto i suoi pezzi anche ad esperti archeologi tra cui lo stesso Libertini e anche da Emanuele Rizzo. Fu solo in seguito, tra denunce e prese di posizione, che questi pezzi vennero riconosciuti come falsi. Ma addirittura Mussolini ne ebbe in dono uno da un gerarca fascista e fu il duce a donarlo al museo di Napoli dove ancora oggi si trova>. Molti di questi falsi, come spiega Tortorici, si trovano in alcuni musei d’Europa e persino al Getty museum. Ed è per questo che nel museo di Catania ne verranno esposti 80 in un settore ad hoc come esempio di storia della museologia. 
Tra le varie opere in mostra anche una pisside di Centuripe con la raffigurazione di un’offerta di doni alla sposa che è stata esposta al Getty museum nel 2013 ottenendo in 3 mesi oltre 300mila visitatori. <Sarà uno dei nostri gioielli – dice il docente -. Questo museo rappresenta il primo museo archeologico di Catania e narra la storia legata ai grandi collezionisti del passato. Rappresenta il gusto e le scelte di appassionati alla ricerca del bello. Un museo che, oggi, non si potrebbe più allestire>.
Isabella di bartolo

lunedì 9 novembre 2015

Giuliano Volpe: "Sperimentiamo in Sicilia i Policlinici dei beni culturali"



Il primo “Policlinico dei beni culturali” potrebbe nascere in Sicilia. E precisamente nel polo Catania-Siracusa e ad Agrigento. Per una volta, infatti, l’Isola diventa modello di gestione del patrimonio secondo le nuove direttive dettate dallo Stato. A suggerirlo è il ministero di Franceschini attraverso il Consiglio superiore per i Beni culturali e paesaggistici.
«L’idea è semplice e concreta – dice il presidente Giuliano Volpe – ed è quella di istituire strutture miste che vedano insieme Atenei, Soprintendenze e Cnr insieme con l’apporto delle associazioni professionali, in cui docenti, ricercatori, tecnici, funzionari lavorerebbero insieme mettendo in comune strutture, laboratori, biblioteche e soprattutto competenze, conoscenze, sensibilità diverse, con evidenti vantaggi in termini di miglioramento della qualità tanto nella tutela e valorizzazione quanto nella formazione e nella ricerca».
“Policlinici dei beni culturali” che colmerebbero le lacune di questi ultimi anni e che, in Sicilia, avrebbero terreno fertile. «L’Isola ha un regime diverso, autonomo
– dice il professore Volpe – e questa sua peculiarità politica, e dunque gestionale, ha vantaggi importanti rispetto a certi lati negativi gestionali dovuti all’eccessiva frammentazione provinciale.
La Sicilia ha in sé un’idea di fondo che è positiva e che io difendo: quella dell’accentramento della gestione. Io sono favorevole, infatti, al modello siciliano che prevede un soggetto unico capace dunque di collaborare con Università e Cnr. L’esempio concreto è quello di Agrigento: la città dei Templi vanta un’ottima soprintendenza, competente e da sempre aperta a collaborazioni; ha anche un Parco archeologico autonomo e l’Università di Palermo con la sua facoltà umanistica. Ecco, mettiamo insieme questi organismi e istituiamo lì il primo Policlinico dei beni culturali».
Un esperimento, dunque. «Lo stesso che si potrebbe dovrebbe fare anche nel territorio di Catania-Siracusa – prosegue il presidente del Consiglio regionale dei Beni culturali – dove ha sede anche l’Istituto per i beni archeologici del Cnr, la scuola di specializzazione in Archeologia e l’Università. Tra l’altro, l’Ibam già lavora in questo senso e proprio da questa sinergia io partirei. La Sicilia potrebbe dimostrare una capacità di proposte che ha perso in questi anni; potrebbe divenire pioniera di idee innovative nel campo dei beni culturali. Potrebbe dunque candidarsi a modello anche per le altre regioni dimostrando così, con i fatti, come l’autonomia – contestata da qualcuno – possa essere un’occasione di rilancio. La Sicilia potrebbe rilanciare con il suo modello di tutela unica di patrimonio culturale, che trovo quello più corretto in Italia, e potrebbe fare un ulteriore passo in avanti superando le barriere tra università, enti di ricerca e istituzioni».
L’idea è, dunque, quella di un coordinamento di sistema pubblico che abbia maggiore efficacia rispetto a quello degli ultimi decenni. E tutto ciò con conseguenze anche in termini occupazioni. «La proposta – dice Volpe – avrebbe incidenza fortissima nel campo della formazione universitaria anche alla luce della crisi del settore dei beni culturali da punto di vista lavorativo e della diminuzione delle iscrizioni. La formazione non è adatta alle esigenze di oggi e in tal senso occorre anche un ripensamento delle Scuole di specializzazione. L’Isola, invece di restare spettatrice davanti a una situazione di stallo, potrebbe divenire protagonista di un cambiamento serio».

Il Consiglio superiore dei Beni culturali annuncia la disponibilità a discutere del progetto con il governo regionale. «Sono disponibile a sostenere l’idea e seguirla in termini pratici – dice Volpe –, in tutte le sue fasi. In questo momento, la Sicilia ha in atto un accordo sottoscritto tra i ministeri ai Beni culturali e quello dell’Università lo scorso 19 marzo, ed è partendo da questo accordo che certo riguarda lo Stato ma può essere esteso alla Regione siciliana che occorre lavorare. Il sottosegretario Faraone, siciliano, potrebbe guardare con interesse a questa prospettiva e certamente anche il direttore del Cnr, Nicolais, ne sarebbe molto interessato così come il presidente dell’Ibam di Catania, Malfitana. Ci sono tutte le condizioni per avviare la rivoluzione: serve adesso che la Regione assuma il suo ruolo e sono pronto a discuterne con il presidente Crocetta e l'assessore ai Beni culturali ben consapevole che questa opportunità sarà per entrambi di grande interesse».
(articolo di Isabella Di Bartolo, riproduzione riservata)