Platone
rimproverava si Siracusani di dedicarsi troppo ai piaceri della tavola. E le
testimonianze degli antichi abitanti della città aretusea svelano una certa
propensione ai banchetti. Le fonti parlano anche di un cuoco siracusano,
Mikhetos, che fu autore del primo trattato di cucina dell’Occidente e persino
fondatore di una sorta di scuola alberghiera che formò molti chef dell’epoca
famosi persino nella Roma degli imperatori per i loro banchetti luculliani di
cui si trovano tracce anche nella moderna gastronomia. Gli oggetti
dell’antichità, esposti al museo archeologico “Paolo Orsi”, svelano proprio
quest’aspetto della vita quotidiana del passato che ancora oggi riecheggia tra
le abitudini moderne. Così, in occasione dell’Expo dedicato al cibo e alla cultura
ad esso legata, tra le vetrine dei musei archeologici siciliani acquistano
nuovo interesse i manufatti per la preparazione e la cottura dei cibi. Ma non
solo. Perché un banchetto ha sempre rappresentato anche un momento di
aggregazione sociale divenendo anche occasione ludica, educativa, politica.
Agli
occhi dei visitatori, questi oggetti acquistano oggi anche una valenza
artistica come commenta l’archeologa Gioconda Lamagna, direttrice del museo
“Paolo Orsi”. <Già in passato – dice – il museo ha promosso un tour alla
scoperta delle mense dell’antichità con il coinvolgimento di associazioni
locali. Un viaggio nel passato durante il quale si ritrovano usanze e pietanze
che ancora oggi si tramandano>. Appartengono al XI secolo a.C., ad esempio,
alcuni vasetti a teiera con filtro che venivano usati per la preparazione di
infusi, proprio come oggi. E, ancora, cucchiai in argilla dell’età del Rame, dalla
grotta della Chiusazza oltre che da Serraferlicchio e Sant’Ippolito, dunque della
metà del III millennio; e persino un orcio di ceramica di Palma di Montechiaro dello
stesso periodo che custodiva le derrate alimentati.
Ma
sono gli oggetti appartenenti al mondo greco e romano quelli più suggestivi
poiché coniugano, in maniera mirabile, uso quotidiano e arte. Basta guardare il
vasellame greco con le sue decorazioni a figure rosse e nere che narrano, e
tramandano, le consuetudini sociali e i miti dell’epoca. I Greci avevano una
grande varietà di vasi usati nei simposi come il cratere e il kantharos con le
due anse, la cui forma si è tramandata nel corso dei secoli. E poi vasi per
trasportare liquidi: anfore, hydrie e pelike. In alcune coppe di ceramica vi è
la rappresentazione di un gioco tipico dell’antichità a cui i commensali,
durante le lunghe ore del banchetto, si dedicavano tra una portata e l’altra.
Si chiamava “kottabos” e pare sia stato inventato proprio in Sicilia come
raccontava Anacreonte.
<Era consuetudine – dice l’archeologa Angela Maria
Manenti – colpire, seduti sulla kline (una sorta di divano su cui si sdraiavano
le gambe), con il vino rimasto nella coppa, un bersaglio posto a distanza che
poteva essere un vaso metallico da far risuonare o un piattello su una lunga
asta da far rovesciare. O, ancora, gusci vuoti che galleggiavano in un vaso
pieno d’acqua da fare affondare>. Ad alcuni vincitori veniva data in premio
una schiava per una notte ma il gioco era anche un momento di aggregazione per
l’aristocrazia del tempo. Un passatempo tipico tra i Greci d’Occidente e di cui
si conservano testimonianza al museo dove è esposta la base di un kottabos
rivenuta a Caltagirone.
Tra
i rinvenimenti negli abitati e nelle necropoli, abbondano i piatti decorati con
pesci di varie tipologie tra cui uno esposto al museo e proveniente dall’area
della stazione ferroviaria, con una strana concavità al centro che, secondo gli
archeologi, serviva per intingere i bocconi di pesce in una salsa tipica. Tra i reperti più belli e significativi vi è
un rilievo funerario rinvenuto a Piazza della Vittoria, durante i lavori per la
costruzione del Santuario della Madonna delle Lacrime. Qui è rappresentata una
coppia di commensali davanti a una tavola imbandita dove si scorgono con
straordinario realismo uva, melograni e mele e anche una forma di pane e di
formaggio. Qualche turista ha scorto anche una caciotta tra le vivande sulla
tavola e ammirato il mestolo che regge in mano un servitore.
Le fonti antiche tramandano con dovizia di
particolari le abitudini di età romana dove il momento del banchetto suggellava
lo status sociale del padrone. Non solo cibo, dunque, nella sala dedicata al
momento conviviale con i commensali sdraiati sul triclinium. I mosaici della
villa Romana del Tellaro, a Noto, restituiscono le immagini di queste sale da
pranzo piene di lusso. Nessuna posata ma solo cucchiai per brodi o creme,
mentre i servitori tagliavano in pezzi il cibo per far sì che i commensali
mangiassero con le dita come era consuetudine. Tegami, pentole e ceramiche da
cucina si trovano tra le vetrine del museo Orsi ma sono soprattutto i servizi
da tavola in argento, diffusi a partire dal II a.C., a incantare i visitatori.
Da Megara Hyblaea, alle porte di Augusta, proviene un servizio argenteo con
tanto di mestolo e coppa: un tesoro rinvenuto dagli archeologi francesi nel
1954 e che dev’essere appartenuto a un servizio da tavola di una casa
aristocratica. Dai ricettari antichi, si apprende che la carne e il pesce
venivano sbollentati e poi conservati con spezie e salse.
(di Isabella Di Bartolo, riproduzione riservata)
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