Lo chiamavano il “Fidia dei cuochi” e lui, Mithekos di Siracusa, ne era orgoglioso. Le fonti antiche lo descrivono come il primo autore di un trattato di cucina della storia e la tradizione gastronomica degli abitanti della Magna Grecia è legata proprio a questo cuoco siracusano del V secolo avanti Cristo. Oggi, storici e pasticceri, vanno a caccia delle sue ricette per ricostruire la storia del gusto antico e dell’antica Sicilia di età greca. Il primo risultato è nel segno della dolcezza: una torta ispirata alle sue ricette nata dall’unione di ricerche d’archivio e sperimentazione ai fornelli.
“Le testimonianze storiche sulla cucina più antica sono scarne – dice Sergio Cilea, storico e responsabile del Fondo ambiente italiano aretuseo – ma molto preziose. Le fonti ci tramandano il nome di Mithekos, cuoco di Siracusa, citato dallo scrittore Naucrati di Alessandria, vissuto in età imperiale a Roma”. Di quest’ultimo sappiamo che nel II secolo dopo Cristo si trasferì dall’Egitto a Roma per lavorare come bibliotecario di un ricco patrizio e che scrisse un’opera monumentale prendendo come pretesto un banchetto fra intellettuali. Naucrati cita il cuoco aretuseo indicandolo come autore di un Manuale di ricette e proprio su di lui si sono concentrate alcune ricerche in occasione delle Giornate d’autunno del Fai che, nel Siracusano, hanno riaperto al pubblico il santuario rupestre della dea Cibele nel sito dell’antica Akrai, la città fondata dalla Siracusa greca. Proprio per celebrare questo evento, abbiamo proposto a una storica pasticceria di Palazzolo di creare un dolce dedicato alla dea greca dopo aver ricercato quali potessero essere gli ingredienti presenti in Sicilia all’epoca del culto di Cibele consultando anche le fonti relative a Mithekos. Da questo studio è nata la torta Cibele a cui hanno lavorato i pasticceri della famiglia Monaco, titolari di una storica istituzione dolciaria di Palazzolo, e che è diventata una delizia ricercatissima: grani antichi, ricotta addolcita con miele e screziata di basilico, noci per omaggiare il grande albero che fa ombra al santuario di Akrai per un dolce che riecheggia il passato greco e lo fa rivivere. Un dolce che potrebbe essere certo annoverato nel manuale di Mithekos”.
Al cuoco siracusano era legata anche una scuola di cucina considerata tra le più celebri dell’antichità e dove si formavano alcuni tra i più grandi chef dell’epoca, corteggiati dalle più ricche famiglie della Roma imperiale per le quali preparavano banchetti stravaganti, piatti elaborati e sorprendenti che hanno lasciato il segno nella cucina siciliana moderna. Fu suo il merito di diffondere la cucina siracusana, e siciliana, nel resto della Grecia sfruttando le delizie che solo la sua terra produceva. “Basta cercare nelle nostre biblioteche – dice Sergio Cilea – per trovare memorie sconosciute come nel caso della cucina antica. Antichi ricettari, erbari siciliani, libri di letteratura o semplici citazioni come nel caso di Mithekos da Siracusa, possono darci preziose informazioni non solo sul modo di cucinare i cibi ma soprattutto sugli ingredienti utilizzati nella preparazione e che erano presenti in passato nel nostro territorio. Il ritorno alla coltivazione dei grani autoctoni, le farine di grano russello o tumminia esclusive delle nostre antiche ricette, sono tornate ad arricchire i cibi siciliani. Alcuni prodotti di un tempo sono oggi scomparsi come il Mespilus germanica, in Sicilia chiamato Nespola d’inverno donata ai bambini durante il periodo natalizio. Da oltre 2000 anni, invece, sulle tavole si trova l’origano di Siracusa, che cresce spontaneo esclusivamente sulle balze del quartiere della Neapolis: una specie introdotta in tempi antichissimi dai greci, diffusa oltre che a Siracusa solo in Grecia e Turchia”.
Il cibo, si sa, è legato alla terra, alle tradizioni, al popolo. Come mangiavano gli antichi significa anche capire in che modo vivevano perché il banchetto, in ogni epoca e società, è un momento di condivisione, di incontro e assume caratteristiche che vanno oltre al pasto e diventano più ampie, culturali, ludiche e politiche. In tal senso, assume un significato profondo il rimprovero che Platone faceva ai siracusani. Agli abitanti dell’antica Siracusa, infatti, piaceva la buona tavola, il sollazzarsi nei lunghi banchetti e il pasteggiare lussuoso. E il filosofo greco non condivideva la loro abitudine di concedersi troppi vizi a tavola, di cucinare in maniera troppo sofisticata e di usare troppi intingoli: usanze che stridevano con l’educazione di Atene, i principi di moderazione e rigore. Platone però suggeriva di degustare il vino con i dessert e, tra questi, soprattutto i fichi più dolci.
Ma cosa mangiavano gli antichi siciliani? Lo racconta un altro cuoco siciliano, Archestrato di Gela, che visse nel IV secolo avanti Cristo e scrisse un poema culinario dal titolo “Hedypatheia” ovvero “Vita di dolcezze”, in cui sono descritte ricette, modi in cui mescere il vino e prelibatezze condite con olio, aceto, vino, erbette, semi di cumino e sesamo. Archestrato preferiva il pane con farina d’orzo considerato superiore a quelli preparati con altre farine e suggeriva di accompagnarlo con il formaggio che si produceva da sempre specie nelle zone dei monti Iblei.
Ancora un altro siracusano, Labdaco, nel III secolo avanti Cristo si distinse per essere uno dei più famosi cuochi dell’epoca ma anche per aver fondato una scuola culinaria a cui erano iscritti anche allievi provenienti da altre città della Grecia a dimostrazione di quanto fosse nota la cucina dell’Isola greca.
Articolo di Isabella Di Bartolo (pubblicato sul quotidiano La Repubblica, diritti riservati)
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