domenica 6 dicembre 2015

Caltabellotta, scavi nella città (ancora) senza nome



Una città ancora senza nome nel cuore della moderna Caltabellotta. A scoprirla sono gli archeologi dell’Università di Catania impegnati in una delle rare missioni di indagini storiche dell’Isola resa possibile solo grazie all’impegno e agli sforzi economici di docenti e studenti accademici. Da 4 anni, la Soprintendenza di Agrigento retta da Caterina Greco ha autorizzato una missione archeologica sulla collina di contrada San Benedetto, a poche centinaia di metri dal centro storico di Caltabellotta, per riportare alla luce i resti più antichi della cittadina che avevano fatto capolino negli anni Ottanta e che arricchiscono la storia della città dove venne stipulata la pace del 1302 al termine della guerra del Vespro. 

<Un sito di grande importanza – dice l’archeologa Rosalba Panvini, soprintendente di Ragusa e Siracusa – che avevamo iniziato a indagare 30 anni fa. Grazie alla sensibilità della soprintendente di Agrigento, Caterina Greco, da sempre attenta alle esigenze di tutela e studio del territorio, abbiamo ripreso gli scavi programmatici per poter ricostruire le fasi storiche di un pezzo della Sicilia ancora sconosciuta. Caltabellotta custodisce le vestigia di un villaggio indigeno poi ellenizzato all’arrivo dei Greci. Un luogo strategico, inespugnabile perché sulla sommità di un colle a mille metri di altezza, e ricco di acqua per la presenza di sorgenti: un luogo idoneo per fondare un villaggio>.




E qui, infatti, gli archeologi di Catania hanno rinvenuto tracce di una piccola città indigena. <Ma ciò che non ci aspettavamo – dice Dario Palermo, docente di Archeologia all’Università etnea – era di trovare tracce di età preistorica: una vera sorpresa>.



Lo scavo è dunque incentrato su diversi aspetti che questo sito cela insieme con una bellezza paesaggistica mozzafiato per la sua posizione. L’insediamento di San Benedetto svela il passaggio dei secoli attraverso la vita dei suoi abitanti dall’età del Ferro a quella greca. D’improvviso, dopo il V secolo, il villaggio viene abbandonato e probabilmente si trasferisce più a valle in quella che diventerà la città di Triokala in età ellenistico-romana. Un centro fiorente e potente, difeso da una rocca, ricca di acqua e terre feconde.



<Del villaggio più antico non abbiamo alcuna fonte storica – prosegue il prof Palermo -, probabilmente nasce nella tarda età del Bronzo: noi abbiamo appena sfiorato la fase preistorica del sito rinvenendo ceramiche di uso quotidiano simili a quelli di Pantalica nord, ma di ambiente occidentale, e rinvenuto tracce di importazioni dalla Sardegna che confermano l’asse commerciale tra questa parte della Sicilia e l’altra grande isola legato alla circolazione del metallo, soprattutto del bronzo. Le ceramiche nuragiche si trovano anche in Grecia e in Spagna, ed è probabile che furono gli stessi ciprioti esperti nella lavorazione del bronzo a insegnare ai sardi a estrarre e lavorare il metallo. La Sicilia era al centro di questo itinerario commerciale>. Dell’insediamento preistorico sono state trovate due grandi capanne circolari dell’età del Ferro, ampie 10 metri: tracce del villaggio più antico che, successivamente, in età arcaica si trasforma in concomitanza con la fondazione di Selinunte poco distante di cui diviene una sorta di vedetta e caposaldo strategico. 




<E’ interessante scoprire le varie fasi di vita attraverso il riutilizzo dell’insediamento – dice Rosalba Panvini, docente all’Università etnea -. L’abitato di età greca mostra chiaramente questa caratteristica insieme con un’altra peculiarità legata all’identità del popolo indigeno che ha mantenuto la propria profonda cultura legata alla terra, un segno identitario di cui restano tracce ancora oggi. Caltabellotta è un paesino di rara bellezza e valenza storica e naturalistica, che conserva segni indelebili del suo passato>.



Dell’abitato greco sono venuti alla luce resti della cinta muraria, strade e case. E poi ceramiche di uso comune per preparare cibi, mangiare e bere; alcune di produzione locale a testimonianza della presenza di artigiani che imitavano anche la “moda” greca appena arrivata. <Dal punto di vista storico, questo villaggio di Caltabellotta è un ambiente del tutto sconosciuto – dice Palermo – un luogo di frontiera dove si trovano assieme elementi greci, punici e indigeni: una situazione particolare mai indagata a cui si aggiunge un lato preistorico che ci ha sorpreso positivamente>. La città senza nome era un crocevia in cui si incontrano le culture indigene dei Sikani, quelle dei Greci, dei Punici e dei Romani come mostrano anche le monete e le ceramiche finora ritrovate.



Per svelare, tassello dopo tassello, la storia di questo sito occorre scavare ancora. Esplorare il villaggio, scoprirne le tombe, i luoghi sacri, le altre caratteristiche. <Un lavoro importante svolto grazie alla passione e al lavoro degli studenti universitari – dice Palermo – i quali hanno reso possibile uno dei pochi scavi programmati in Sicilia. Ormai, nella nostra Isola ricca di passato, si avviano indagini archeologiche solo in casi di urgenza sempre per carenza di risorse. Quello di Caltabellotta, grazie all’autorizzazione della Soprintendenza, apre una frontiera nuova: lo scavo è finanziato da docenti e studenti e grande aiuto arriva dal piccolo Comune di Caltabellotta che mette a disposizione i locali e ha acquistato alcune attrezzature. In Sicilia non si cerca più il passato perché non ci sono soldi per l’archeologia e dunque per la cultura: che lo facciano con entusiasmo e sacrifici le nuove generazioni è il segno di una consapevolezza che sorprende e arricchisce>.

In questo delicato compito di tutela del passato si inserisce l'attività della Soprintendenza di Agrigento particolarmente attenta a coniugare difesa e fruizione del territorio. <Abbiamo voluto avviare queste indagini archeologiche consapevoli dell'importanza dello studio - commenta l'archeologa Caterina Greco, soprintendente di Agrigento - ridando vita ad attività scientifiche gestite in convenzione con L'Università di Catania che si inseriscono nel solco del nostro lavoro profuso a salvaguardia del patrimonio>. 


Isabella di bartolo

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