sabato 1 settembre 2018

Noto antica, non solo barocco: tour nella città abbandonata dopo il sisma del 1693


Noto antica è una “Pompei siciliana”. Sul monte Alveria, poco lontano dalla Noto barocca di oggi, tutto è rimasto come era la sera di domenica 11 gennaio 1693 quando un terribile terremoto distrusse la Sicilia orientale e rase al suolo anche la millenaria città. Netum, così si chiamava, venne fondata secondo la leggenda dal Ducezio, re dei Siculi, nel 428 avanti Cristo, sul colle a forma di cuore che dominava la valle, protetto da dirupi e gole montuose. Da questo luogo che raggiunse il suo splendore nel Medioevo e poi fino al XVI secolo quando divenne uno dei centri culturali più importanti della Sicilia sudest, i netini sopravvissuti scapparono via lasciando palazzi, botteghe, chiese e ospedali tra i detriti per rifondare una Noto ancora più bella e preziosa. Per ricostruire più a valle, in un altro sito, un’altra città intarsiata di pietra dorata che dal 2002 è iscritta tra i beni dell’Unesco. 


Fuori dalla città barocca di oggi, ci sono i resti di Noto antica che è un luogo storico immerso nella natura, meta di trekking archeologico e di studiosi da tutto il mondo impegnati nella ricostruzione storica di un centro abitato da 12mila anime e che vantava 11 conventi, 34 chiese e 8 monasteri protetti da alte mura di cui ancora oggi restano tracce. Mura di poderosi blocchi lapidei che non furono mai sfondate da nemici: mai, l’antica Noto, fu conquistata da popoli avversari ma solo il terremoto riuscì a colpirla. Oltre ai blocchi delle mura, si conservano le porte della città da cui si accedeva al centro abitato: la porta di Noto antica è ancora adesso l’accesso al sito archeologico.
Dell’abitato più antico restano tracce dell’agorà, dove gli abitanti si riunivano in assemblea, dei ginnasio e degli Heroa che erano luogo destinati a manifestazioni pubbliche. Fortificata in epoca araba, si arricchisce di edifici tra cui il castello che sovrasta il colle mentre nel Medioevo acquista la fisionomia tipica delle città di quest’epoca con chiese e tre piazze che suddividevano il centro abitato in piano del Crocifisso, piano Maggiore – con la piazza centrale del paese oggi indicata con un’edicola votiva a ricordo dell’antica Noto - e piano Santa Venera attraversati da una strada principale chiamata via Cassaro: di tutto questo si possono ammirare resti. Passeggiare tra queste rovine significa immaginare l’antica Netum, vitale centro culturale siciliano con le sue 14.416 case come raccontano le cronache dell’epoca. Tra le rovine spiccano quelle della chiesa del Carmine di cui restano il basamento con una struttura a tre navate da cui si comprende la struttura dell’edificio dove si trovano anche le tombe dei frati Carmelitani indicate con bassorilievi raffiguranti ossa incrociate. Maestose le rovine del convento e della chiesa dei Gesuiti e quelle del palazzo della famiglia Landolina, con lo stemma nobiliare che raffigura due leoni simbolo di forza; riconoscibili anche i resti dell’ospedale cittadino dedicato a Santa Maria di Loreto con i suoi ambienti
Il castello di Noto antica è collegato alle sue mura e conserva la sala d’armi e le scuderie, oltre a torri e una prigione dove si leggono ancora bassorilievi e iscrizioni dei detenuti che qui scontavano le loro pene. I galeotti scrivevano i loro nomi sulle pietre del carcere, come si può leggere ancora oggi, ma non solo: in alcuni blocchi sono disegnati giochi che i detenuti facevano tra loro con pedine, una sorta di antenato del gioco della dama. 


L’area archeologica è arricchita dalla natura più lussureggiante perché, nei pressi del fiume Asinaro, ci sono oggi percorsi naturalistici meta di appassionati di storia e botanica. Oltre al sito che racconta la città prima del 1693, qui si trova cava del Carosello: un canyon profondo un centinaio di metri e in fondo al quale scorre il fiume Asinaro. Migliaia di specie botaniche e tracce delle attività dell’uomo legate all’acqua perché qui si trovano anche i resti delle concerie: “botteghe” scavate nella roccia in epoca araba dove gli antichi netini producevano la concia delle pelli sfruttando l’acqua del fiume necessaria per la lavorazione delle pelli. Si trovavano qui anche mulini di cui rimangono resti e tracce di acquedotti, scavati a cielo aperto, che servivano per portare l’acqua ai mulini attivi fino al dopoguerra.
L’antica Netum rivive grazie all’opera Efan del ministero dell’Istruzione che ha ricostruito virtualmente quattro aree della città antica. Ogni anno, in occasione della festa dell’Alveria che si celebra l’ultima domenica di maggio, l’istituto culturale Isvna ridà vita all’antica Netum con giostre medievali, tornei e visite guidate per riscoprire la città del passato.
Isabella di bartolo

Nessun commento:

Posta un commento