Zigomi
alti e mascella squadrata, ma lineamenti eleganti. Capelli folti, adornati da
conchiglie. Corporatura robusta, di chi è abituato alla fatica dei campi e
della caccia. Gli abitanti della Sicilia preistorica contraddicono
l’immaginario collettivo legato alla figura di uomini della caverna dal volto
rozzo. Nessuna sembianza di scimmia. Gli indigeni che abitavano nel cuore
dell’Isola almeno 4 millenni fa, avevano fattezze quasi delicate: lo dimostra
la tecnologia applicata alla storia.
Una
scoperta unica al mondo che ha coinvolto la Soprintendenza di Agrigento, diretta
da Caterina Greco, uno staff di archeologi guidati da Nuccia Gullì e un’èquipe
italoamericana coordinata da Davide Tanasi che ha messo a disposizione
strumenti di alta tecnologia per analizzare la civiltà preistorica siciliana.
Uno studio multidisciplinare, l’unico finora in Italia, che ha visto insieme
Sicilia e Usa e che getta le basi di un’analisi storica secondo prospettive mai
seguite: quelle legate all’analisi del Dna dei resti ossei e la Tac ai crani rinvenuti
in una necropoli preistorica fino alla ricostruzione del volto di uomo del IV
millennio avanti Cristo.
Tutto
ha avuto inizio in occasione dei lavori per la realizzazione della superstrada
tra Agrigento e Caltanissetta. E, precisamente, in contrada Scintilia, nel
territorio di Favara. Qui, nel 2010, gli operai impegnati nella realizzazione
dell’arteria di collegamento hanno dovuto lasciare il posto agli archeologi
della Soprintendenza. A pochi metri dal livello stradale, infatti, vennero alla
luce scheletri umani. “Una necropoli – dice la soprintendente Cateria Greco –
che da subito convinse l’archeologa Gullì della sua peculiarità. Una decina di
individui sepolti che, oggi, hanno restituito un pezzo di storia sconosciuta.
Ciò grazie innanzitutto alla tipologia dell’indagine archeologica che è stata
seguita con una precisione certosina, un rigore scientifico che ha permesso
davvero di fotografare una realtà millenaria nei suoi straordinari dettagli.
Uno scavo sviluppatosi all’interno di un programma di archeologia preventiva
d’urgenza con il Comune di Favara che è poi diventata l’occasione di uno studio
di grande valore i cui risultati saranno rivolti non solo agli addetti ai
lavori: ed è questa la forza del progetto che abbiamo voluto intitolare “Storie
sepolte”.
La
peculiarità del lavoro è stata l’interazione tra vari specialisti: archeologi
preistorici, ento-antropologi, paleobotanici, esperti di ortodonzia e
paleonutrizionisti. Un team coordinato da Davide Tanasi, docente dell’Arcadia
University, che ha curato gli aspetti tecnologici legati alla ricostruzione
della vita quotidiana del villaggio preistorico di Scintilia. “Questa è stata
la grande sfida – dice l’archeologo – sfruttare la tecnologia più avanzata per
capire come vivevano gli abitanti di questo borgo del IV millennio a.C. La
microbiologa Sheryl Smith, dell’Università di Philadelphia, ha effettuato
l’estrazione e l’amplificazione di campioni del Dna ricavati da 9 scheletri
rinvenuti nella necropoli, con lo scopo di stabilire rapporti di parentela e
malattie genetiche”. Ma non solo. La scultrice dell’Istituto di archeologia forense,
Suzanne Matlock, ha realizzato la ricostruzione facciale di un individuo
femminile, sulla base dei rinvenimenti. Un lavoro lungo e delicato che ha visto
impegnata l’èquipe di esperti e che ha dato vita al volto di una donna di
Scintilia a cui è stato dato il nome di Sofia.
Lo
studio multidisciplinare ha svelato non solo i connotati del viso di questa
donna simbolo del villaggio preistorico di Scintilia ma anche le abitudini e la
vita quotidiana di questo popolo. Secondo la ricostruzione degli archeologi, la
comunità di Scintilia era dedita all’agricoltura e alla caccia come rivelano i
danni alle ossa in punti precisi delle articolazioni come le scapole (a
testimonianza dei grossi pesi da sollevare e trasportare), gomiti e caviglie.
Quello
che ha restituito lo studio è poi un aspetto delicato legato alla società di
Scintilia. Ai rituali di questa popolazione preistorica che mostrava grande
rispetto per la morte e senso di appartenenza alla famiglia. I rituali funerari
sono rivelati dalle tombe scavate dagli archeologi che si sono trovati davanti
a uno schema ben preciso di disposizione delle ossa. “Le tombe di Scintilia –
dice l’archeologo Tanasi – erano di tipo familiare. L’indagine archeologica ha
scoperto che gli abitanti di questa contrada erano soliti riutilizzare i
sepolcri per seppellire i componenti della stessa famiglia. E ciò attraverso un
rito suggestivo che consisteva nella nuova disposizione delle ossa più vecchie
secondo un ordine preciso: spostando quelle più lunghe ai margini della tomba,
una accanto all’altra”.
Quasi
una sorta di abbraccio di pietra nei confronti dei resti dei proprio cari. Una
cappella di famiglia preistorica, dove i corpi di genitori, figli e fratelli tornavano
ad essere vicini. Un rito funerario di grande suggestione e valore sociale che
mostra come i più antichi abitanti della Sicilia centrale fossero uomini
dall’animo delicato. Come il volto di Sofia che ha 3.900 anni ma mostra
lineamenti straordinariamente morbidi e che venne trovata accanto a piccole
conchiglie con cui doveva essere solita adornarsi i capelli. Un’eleganza
semplice in una società di contadini e cacciatori che custodisce ancora i
segreti di una civiltà preistorica unica al mondo.
articolo di Isabella
di bartolo
(Riproduzione riservata)
interessantissimo
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