domenica 7 febbraio 2016

Sofia, il volto della Sicilia di 4 mila anni fa



Zigomi alti e mascella squadrata, ma lineamenti eleganti. Capelli folti, adornati da conchiglie. Corporatura robusta, di chi è abituato alla fatica dei campi e della caccia. Gli abitanti della Sicilia preistorica contraddicono l’immaginario collettivo legato alla figura di uomini della caverna dal volto rozzo. Nessuna sembianza di scimmia. Gli indigeni che abitavano nel cuore dell’Isola almeno 4 millenni fa, avevano fattezze quasi delicate: lo dimostra la tecnologia applicata alla storia.

Una scoperta unica al mondo che ha coinvolto la Soprintendenza di Agrigento, diretta da Caterina Greco, uno staff di archeologi guidati da Nuccia Gullì e un’èquipe italoamericana coordinata da Davide Tanasi che ha messo a disposizione strumenti di alta tecnologia per analizzare la civiltà preistorica siciliana. Uno studio multidisciplinare, l’unico finora in Italia, che ha visto insieme Sicilia e Usa e che getta le basi di un’analisi storica secondo prospettive mai seguite: quelle legate all’analisi del Dna dei resti ossei e la Tac ai crani rinvenuti in una necropoli preistorica fino alla ricostruzione del volto di uomo del IV millennio avanti Cristo.
Tutto ha avuto inizio in occasione dei lavori per la realizzazione della superstrada tra Agrigento e Caltanissetta. E, precisamente, in contrada Scintilia, nel territorio di Favara. Qui, nel 2010, gli operai impegnati nella realizzazione dell’arteria di collegamento hanno dovuto lasciare il posto agli archeologi della Soprintendenza. A pochi metri dal livello stradale, infatti, vennero alla luce scheletri umani. “Una necropoli – dice la soprintendente Cateria Greco – che da subito convinse l’archeologa Gullì della sua peculiarità. Una decina di individui sepolti che, oggi, hanno restituito un pezzo di storia sconosciuta. Ciò grazie innanzitutto alla tipologia dell’indagine archeologica che è stata seguita con una precisione certosina, un rigore scientifico che ha permesso davvero di fotografare una realtà millenaria nei suoi straordinari dettagli. Uno scavo sviluppatosi all’interno di un programma di archeologia preventiva d’urgenza con il Comune di Favara che è poi diventata l’occasione di uno studio di grande valore i cui risultati saranno rivolti non solo agli addetti ai lavori: ed è questa la forza del progetto che abbiamo voluto intitolare “Storie sepolte”. 

La peculiarità del lavoro è stata l’interazione tra vari specialisti: archeologi preistorici, ento-antropologi, paleobotanici, esperti di ortodonzia e paleonutrizionisti. Un team coordinato da Davide Tanasi, docente dell’Arcadia University, che ha curato gli aspetti tecnologici legati alla ricostruzione della vita quotidiana del villaggio preistorico di Scintilia. “Questa è stata la grande sfida – dice l’archeologo – sfruttare la tecnologia più avanzata per capire come vivevano gli abitanti di questo borgo del IV millennio a.C. La microbiologa Sheryl Smith, dell’Università di Philadelphia, ha effettuato l’estrazione e l’amplificazione di campioni del Dna ricavati da 9 scheletri rinvenuti nella necropoli, con lo scopo di stabilire rapporti di parentela e malattie genetiche”. Ma non solo. La scultrice dell’Istituto di archeologia forense, Suzanne Matlock, ha realizzato la ricostruzione facciale di un individuo femminile, sulla base dei rinvenimenti. Un lavoro lungo e delicato che ha visto impegnata l’èquipe di esperti e che ha dato vita al volto di una donna di Scintilia a cui è stato dato il nome di Sofia.
Lo studio multidisciplinare ha svelato non solo i connotati del viso di questa donna simbolo del villaggio preistorico di Scintilia ma anche le abitudini e la vita quotidiana di questo popolo. Secondo la ricostruzione degli archeologi, la comunità di Scintilia era dedita all’agricoltura e alla caccia come rivelano i danni alle ossa in punti precisi delle articolazioni come le scapole (a testimonianza dei grossi pesi da sollevare e trasportare), gomiti e caviglie.
Quello che ha restituito lo studio è poi un aspetto delicato legato alla società di Scintilia. Ai rituali di questa popolazione preistorica che mostrava grande rispetto per la morte e senso di appartenenza alla famiglia. I rituali funerari sono rivelati dalle tombe scavate dagli archeologi che si sono trovati davanti a uno schema ben preciso di disposizione delle ossa. “Le tombe di Scintilia – dice l’archeologo Tanasi – erano di tipo familiare. L’indagine archeologica ha scoperto che gli abitanti di questa contrada erano soliti riutilizzare i sepolcri per seppellire i componenti della stessa famiglia. E ciò attraverso un rito suggestivo che consisteva nella nuova disposizione delle ossa più vecchie secondo un ordine preciso: spostando quelle più lunghe ai margini della tomba, una accanto all’altra”.

Quasi una sorta di abbraccio di pietra nei confronti dei resti dei proprio cari. Una cappella di famiglia preistorica, dove i corpi di genitori, figli e fratelli tornavano ad essere vicini. Un rito funerario di grande suggestione e valore sociale che mostra come i più antichi abitanti della Sicilia centrale fossero uomini dall’animo delicato. Come il volto di Sofia che ha 3.900 anni ma mostra lineamenti straordinariamente morbidi e che venne trovata accanto a piccole conchiglie con cui doveva essere solita adornarsi i capelli. Un’eleganza semplice in una società di contadini e cacciatori che custodisce ancora i segreti di una civiltà preistorica unica al mondo.
articolo di Isabella di bartolo
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