giovedì 11 febbraio 2016

Google e il museo "Paolo Orsi" in un click




Basta un click per viaggiare nel passato. Un click per accorciare le distanze e rendere senza alcuna barriera, né fisica né culturale, un museo. Parte dal sudest della Sicilia una rivoluzione turistica e culturale firmata Google. E precisamente da Siracusa dove ha sede uno dei musei più importanti al mondo per la sua storia, le sue collezioni millenarie, le sue vetrine che testimoniano la vita più fulgida della Sicilia antica. Il Museo archeologico regionale “Paolo Orsi” è il primo al mondo a regalare tour virtuali su Google maps street view. Viaggi alla scoperta di una silloge di reperti scelti tra quelli più significativi del museo siracusano che si possono ammirare nella loro interezza, ruotandovi attorno, fermandosi a guardarne i particolari. 

Non solo chi abita dall'altra parte del globo potrà passeggiare tra le bellezze del museo Orsi ma anche chi lo ha visto spesso potrà scoprire un volto sconosciuto dei suoi oggetti più belli, come se li avesse tra le mani.
Il progetto-pilota è stato avviato nel 2013 da Google con uno staff siciliano che ha trasformato il “Paolo Orsi” nel pioniere multimediale del turismo 2.0. Per renderlo possibile ci sono voluti due anni di lavoro e 3.924 immagini scattate dal ragusano Gianfranco Guccione, fotografo ufficiale di Google, analizzate e studiate dalle archeologhe catanesi Elisa Bonacini, curatrice del progetto, e Giusy Monterosso, referente del museo guidato a Gioconda Lamagna. Il risultato è on line: mappe interattive e virtual tour a 360° con dettagliate (e semplificate) schede descrittive di 12 opere d’arte che narrano la storia della Magna Grecia. 


A dare il via al progetto siciliano di Google fu, nel 2013, Maria Rita Sgarlata che allora guidava l’assessorato ai Beni culturali e decise di firmare la convenzione con Google Business Photo. Fino ad allora, infatti, la Sicilia era rimasta fuori dalle collaborazioni di Google con i musei e i luoghi d’arte d’Italia in quanto Regione a statuto speciale. Le opere sono accessibili su mappe interattive e come punti di interesse all’interno delle vetrine: un tradizionale tour virtuale su Street View viene così trasformato in un tour “aumentato” delle collezioni. Google, infatti, pur consentendo nei musei presenti su Art Project di visualizzare in 2D, anche ad alta risoluzione, alcuni manufatti o opere d’arte indicate come punti di interesse lungo il percorso virtuale, presenta foto statiche e didascalie sintetiche. "Anche nelle recenti riproduzioni 3D di oltre 300 opere d’arte secondo un progetto recentemente avviato, le opere sono descritte da brevi didascalie – spiega l’archeologa Elisa Bonacini - La soluzione tecnica adottata per “aggirare” l’ostacolo imposto dalla piattaforma è stata quella di creare, con software specifici, virtual tour inseriti all’interno di schede e forniti di didascalia semplice ma efficace". Si accede alle visite virtuali tra le 12 opere d’arte cliccando nella scheda del Museo che appare su Google Map. La tecnologia utilizzata, compatibile con tutti i sistemi operativi esistenti, è di tipo responsive: adattandosi automaticamente alla visualizzazione su dispositivi mobili. La componente sperimentale del progetto mira, dunque, a “svecchiare” il sistema utilizzato da Google, dimostrando come sia possibile implementare le piattaforme collegate a Street View, consentendo agli utenti certificati di applicare contenuti aggiuntivi. Il progetto, inoltre, può essere implementato fino a trasformarsi in un vero catalogo multilingue, geolocalizzato su Street View e fruibile anche in modalità audio.
 

   L’ampia interoperabilità tra i software di Google e l’integrazione dei risultati sulle pagine del motore di ricerca con Google + consentiranno al Museo “Paolo Orsi”, alla città di Siracusa e all’intera Sicilia, di trarre vantaggio in termini di visibilità digitale da questo nuovo strumento.
isabella di bartolo  

domenica 7 febbraio 2016

Sofia, il volto della Sicilia di 4 mila anni fa



Zigomi alti e mascella squadrata, ma lineamenti eleganti. Capelli folti, adornati da conchiglie. Corporatura robusta, di chi è abituato alla fatica dei campi e della caccia. Gli abitanti della Sicilia preistorica contraddicono l’immaginario collettivo legato alla figura di uomini della caverna dal volto rozzo. Nessuna sembianza di scimmia. Gli indigeni che abitavano nel cuore dell’Isola almeno 4 millenni fa, avevano fattezze quasi delicate: lo dimostra la tecnologia applicata alla storia.

Una scoperta unica al mondo che ha coinvolto la Soprintendenza di Agrigento, diretta da Caterina Greco, uno staff di archeologi guidati da Nuccia Gullì e un’èquipe italoamericana coordinata da Davide Tanasi che ha messo a disposizione strumenti di alta tecnologia per analizzare la civiltà preistorica siciliana. Uno studio multidisciplinare, l’unico finora in Italia, che ha visto insieme Sicilia e Usa e che getta le basi di un’analisi storica secondo prospettive mai seguite: quelle legate all’analisi del Dna dei resti ossei e la Tac ai crani rinvenuti in una necropoli preistorica fino alla ricostruzione del volto di uomo del IV millennio avanti Cristo.
Tutto ha avuto inizio in occasione dei lavori per la realizzazione della superstrada tra Agrigento e Caltanissetta. E, precisamente, in contrada Scintilia, nel territorio di Favara. Qui, nel 2010, gli operai impegnati nella realizzazione dell’arteria di collegamento hanno dovuto lasciare il posto agli archeologi della Soprintendenza. A pochi metri dal livello stradale, infatti, vennero alla luce scheletri umani. “Una necropoli – dice la soprintendente Cateria Greco – che da subito convinse l’archeologa Gullì della sua peculiarità. Una decina di individui sepolti che, oggi, hanno restituito un pezzo di storia sconosciuta. Ciò grazie innanzitutto alla tipologia dell’indagine archeologica che è stata seguita con una precisione certosina, un rigore scientifico che ha permesso davvero di fotografare una realtà millenaria nei suoi straordinari dettagli. Uno scavo sviluppatosi all’interno di un programma di archeologia preventiva d’urgenza con il Comune di Favara che è poi diventata l’occasione di uno studio di grande valore i cui risultati saranno rivolti non solo agli addetti ai lavori: ed è questa la forza del progetto che abbiamo voluto intitolare “Storie sepolte”. 

La peculiarità del lavoro è stata l’interazione tra vari specialisti: archeologi preistorici, ento-antropologi, paleobotanici, esperti di ortodonzia e paleonutrizionisti. Un team coordinato da Davide Tanasi, docente dell’Arcadia University, che ha curato gli aspetti tecnologici legati alla ricostruzione della vita quotidiana del villaggio preistorico di Scintilia. “Questa è stata la grande sfida – dice l’archeologo – sfruttare la tecnologia più avanzata per capire come vivevano gli abitanti di questo borgo del IV millennio a.C. La microbiologa Sheryl Smith, dell’Università di Philadelphia, ha effettuato l’estrazione e l’amplificazione di campioni del Dna ricavati da 9 scheletri rinvenuti nella necropoli, con lo scopo di stabilire rapporti di parentela e malattie genetiche”. Ma non solo. La scultrice dell’Istituto di archeologia forense, Suzanne Matlock, ha realizzato la ricostruzione facciale di un individuo femminile, sulla base dei rinvenimenti. Un lavoro lungo e delicato che ha visto impegnata l’èquipe di esperti e che ha dato vita al volto di una donna di Scintilia a cui è stato dato il nome di Sofia.
Lo studio multidisciplinare ha svelato non solo i connotati del viso di questa donna simbolo del villaggio preistorico di Scintilia ma anche le abitudini e la vita quotidiana di questo popolo. Secondo la ricostruzione degli archeologi, la comunità di Scintilia era dedita all’agricoltura e alla caccia come rivelano i danni alle ossa in punti precisi delle articolazioni come le scapole (a testimonianza dei grossi pesi da sollevare e trasportare), gomiti e caviglie.
Quello che ha restituito lo studio è poi un aspetto delicato legato alla società di Scintilia. Ai rituali di questa popolazione preistorica che mostrava grande rispetto per la morte e senso di appartenenza alla famiglia. I rituali funerari sono rivelati dalle tombe scavate dagli archeologi che si sono trovati davanti a uno schema ben preciso di disposizione delle ossa. “Le tombe di Scintilia – dice l’archeologo Tanasi – erano di tipo familiare. L’indagine archeologica ha scoperto che gli abitanti di questa contrada erano soliti riutilizzare i sepolcri per seppellire i componenti della stessa famiglia. E ciò attraverso un rito suggestivo che consisteva nella nuova disposizione delle ossa più vecchie secondo un ordine preciso: spostando quelle più lunghe ai margini della tomba, una accanto all’altra”.

Quasi una sorta di abbraccio di pietra nei confronti dei resti dei proprio cari. Una cappella di famiglia preistorica, dove i corpi di genitori, figli e fratelli tornavano ad essere vicini. Un rito funerario di grande suggestione e valore sociale che mostra come i più antichi abitanti della Sicilia centrale fossero uomini dall’animo delicato. Come il volto di Sofia che ha 3.900 anni ma mostra lineamenti straordinariamente morbidi e che venne trovata accanto a piccole conchiglie con cui doveva essere solita adornarsi i capelli. Un’eleganza semplice in una società di contadini e cacciatori che custodisce ancora i segreti di una civiltà preistorica unica al mondo.
articolo di Isabella di bartolo
(Riproduzione riservata)

mercoledì 3 febbraio 2016

La Testa di Ade torna domani, conferenza dei Carabinieri ad Enna




Domani, 4 febbraio 2016, alle ore 11:00, ad Enna, presso l’Auditorium "FALCONE e BORSELLINO" della Procura della Repubblica, sarà presentato il reperto e verranno forniti ulteriori particolari e inediti materiali video-fotografici riguardanti l’attività di recupero di cui si riporta una breve sintesi.

Al termine di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Enna, i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale hanno riportato in Sicilia la Testa di Ade, restituita dal “J.P. Getty Museum” di Los Angeles che l’aveva acquistata nel 1985 e collocata presso la “Getty Villa” di Malibù.

Il reperto era stato trafugato alla fine degli anni settanta dall’area archeologica di Morgantina, nel territorio di Aidone (EN). A tale conclusione si è giunti attraverso l’esame di alcuni reperti in frantumi abbandonati dai tombaroli a seguito di scavi clandestini in quell’area archeologica. Tra questi, vi erano  4 “riccioli” (recuperati tra il 1978 e il 1988) che a distanza di diversi anni, nell’ambito di una collaborazione - avviata dal 2011 - tra il Dipartimento dei Beni Culturali della Regione Siciliana ed il museo californiano sono stati comparati, con esito positivo, con la “testa” custodita presso il “Getty”. Il Nucleo CC Tutela Patrimonio Culturale di Palermo, che ha operato in sinergia con il Dipartimento dei Beni Culturali e su coordinamento della Procura di Enna, ha acquisito i riscontri documentali utili per formalizzare la richiesta di rogatoria internazionale, poi indirizzata alle Autorità statunitensi. La piena collaborazione con il Dipartimento di Giustizia U.S.A. e il “J.P. Getty Museum” ha permesso, dopo l’espletamento delle procedure giudiziarie, l’organizzazione della missione di recupero. Il 24 gennaio 2016, militari del Nucleo CC TPC di Palermo, unitamente al Sost. Proc. Dr. Francesco RIO, titolare delle indagini, sono pertanto partiti alla volta di Los Angeles, facendo rientro il 29 gennaio scorso all’aeroporto “Falcone e Borsellino” di Palermo, con la “Testa di Ade”.

Il reperto proviene dall’area archeologica di Morgantina, importante città siculo-greca nel territorio di Aidone (EN) che, tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, è stata oggetto di numerosissimi scavi clandestini con conseguente trafugamento di inestimabili capolavori dell’arte greca (la coppia di acroliti arcaici, la colossale statua tardo-classica della dea, il tesoro di argenti ellenistici), illecitamente esportati e restituiti all’Italia negli ultimi anni, tutti attualmente custoditi nel Museo Archeologico di Aidone.