Il
primo a lanciare il grido d’allarme sul “sovrautilizzo” del Teatro greco di
Siracusa fu Giuseppe Voza. Era il 1996 quando l’archeologo descrisse lo stato
in cui versava il monumento messo a rischio dall’usura del tempo, dai
visitatori e dall’utilizzo di tecnologie e materiali estranei alla natura della
pietra per l’allestimento degli spettacoli. Poi, nel 2004, rinnovò le sue
preoccupazioni soffermandosi sul problema della “compatibilità” di ogni
spettacolo con il “decoro” del monumento e descrivendo i rischi per il delicato
sito. Oggi l’allarme di Voza ha trovato triste ragione nell’incuria che connota
il monumento in attesa di un restauro di somma urgenza.
Ma
per salvare il Teatro greco occorre molto di più che un intervento tecnico. "Occorre
comprendere la concezione della tutela di un bene monumentale che è unico",
dice Giuseppe Voza, soprintendente emerito di Siracusa e direttore onorario del
museo archeologico “Paolo Orsi” a cui diede assetto e forma raccogliendo in
esso i tasselli della storia antica della Sicilia e non solo. Ed è proprio per
comprendere la grandezza dell’architettura antica dell’Isola, che l’archeologo
accenna alle ragioni per cui l’età greca raggiunse la sua akmè in due monumenti
simbolo anche della Sicilia, coniugando perfezione tecnica e valore simbolico,
sociale.
"La civiltà greca si è espressa nel campo dell’architettura in
maniera eccellente con due edifici particolari – dice Giuseppe Voza -: il
tempio e il teatro. Il primo, emblema dell’architettura religiosa, è la casa della
divinità, inaccessibile al popolo con la sua statua al centro della cella e il
perimetro di colonne che rende l’edificio perfetto, autarchico perché
indipendente dal luogo fisico in cui si trova. Un tempio greco non ha rapporto
con l’esterno, sta bene in qualsiasi luogo: in una città, su un monte. E ciò è
indice della sua perfezione. Un teatro, invece, no. Un teatro greco è parte del
luogo in cui viene edificato". E così a Siracusa, come a Taormina, a
Tindari, a Segesta: il teatro diviene un unicum con la cornice naturale che è
parte stessa, viva, dell’edificio.
"Significa
che il teatro è della gente che lo vive, si alimenta dello spazio che lo
circonda – dice - Per questo isolare il paesaggio o alterarlo significa mozzare
la testa a un teatro greco ed è per questa ragione che, in passato, ho tuonato
a Siracusa contro le scenografie monumentali che fanno perdere il fascino dello
scenario naturale che è parte del teatro stesso".
Ed ecco perché lo
spettacolo in un Teatro greco diventa occasione di fruizione, sebbene ciò non
accade mai come Voza amaramente conferma. "Il tempio e il teatro sono
l’espressione del genio creativo dei greci – dice il professore Voza -, e
mentre il primo è coperto, il secondo no. Ed è questo che rende la sua
costruzione più facilmente deteriorabile, attaccata dal tempo e dalla natura.
Sebbene il Teatro greco di Siracusa sia stato scolpito nella roccia del
Temenite, e abbia per questo un’anima costruttiva forte, resistente, è fragile.
Delicato. Nonostante abbia subito le distruzioni ad opera di Carlo V e
l’asportazione della sua pietra per realizzare le mura della città e, oggi, la
sua cavea è ridotta allo scheletro, il Teatro greco di Siracusa ha conservato
la sua geometria. La sua magnificenza. Prima di divenire una cavea di pietra, il
Teatro era un altare al centro e la gente assiepata sul colle Temenite per
assistere ai riti religiosi in onore di Dionisio il cui altare era nel cuore
dell’orchestra. Come ad Atene, con i cittadini appollaiati sulle pendici
dell’Acropoli, così a Siracusa. Solo dopo vennero realizzate le tribune di
legno e, ancora dopo, le cavee lapidee scolpite con i sedili. La cavea non
nasce con il piano dell’orchestra ma come luogo naturale che si adatta ad
accogliere tutt’intorno gli spettatori e poi diventa il luogo della vita
civile, della politica, dei processi. Un luogo non solo religioso ma della
città viva".
Nessun
teatro in Sicilia ha una storia come quella di Siracusa. "Ciò non significa
– dice l’archeologo – mettere il Teatro greco sotto una campana di vetro, ma custodirlo,
assicurarne una manutenzione costante e tramandarlo alle prossime generazioni.
Il Teatro di Siracusa è un fatto unico, raro, eccezionale nel mondo
dell’architettura teatrale. Ancora il suo contesto ha molto da dire e
bisognerebbe continuare a scavare sulla terrazza del Temenite per riportare
alla luce la maestosità di questo luogo sacro e vivo. E per regalare ai
visitatori l’occasione di una fruizione vera, che dovrebbe protrarsi per
qualche giorno alla scoperta del Teatro greco, della sua terrazza e poi della
Latomie, dell’Ara di Ierone, dell’Anfiteatro romano che grazie a Bernabò Brea
danno vita a uno dei parchi archeologici più importanti al mondo, unico nel
contesto di una città moderna, contemporanea. Ed è invece incredibile occuparsi
del Teatro greco solo in occasione degli spettacoli, dobbiamo proporre al mondo
una fruizione vera di questo monumento e del suo contesto. Purtroppo a stento
riusciamo ad avere un’idea di cosa fosse guardando dal basso la cavea per
tentare di comprendere la costruzione divina".
Voza
ripete, ancora una volta, le sue riflessioni più volte avanzate alla città e
alle sue istituzioni culturali. "Ripeto cose di cui non si parla mai – dice
il soprintendente emerito -. Si parla del Teatro greco, della sua vita, dei tempi
del suo utilizzo, del tipo di spettacoli da allestire. Tutti elementi
importanti come è importante mettere in moto un fruttuoso turismo, ma su che
cosa? Non una volta si discute del Teatro greco e della necessità di
pianificarne la tutela e la manutenzione, dell’esigenza di un’opera di restauro
costante che la natura della roccia, della quale è stata accertata la sua
estrema vulnerabilità, rende improcrastinabile. È necessario attivare il
previsto piano di monitoraggio degli elementi naturali e umani che aggrediscono
il monumento, e individuare livelli di fruibilità del Teatro greco e delle attività
teatrali. Di tutto questo non si parla. Ed è questo, invece, l’aspetto
fondamentale per restituire ai posteri la più grandiosa rovina
dell’antichità".
Isabella
di bartolo
(riproduzione riservata)