Noto antica
è una “Pompei siciliana”. Sul monte Alveria, poco lontano dalla Noto barocca di
oggi, tutto è rimasto come era la sera di domenica 11 gennaio 1693 quando un
terribile terremoto distrusse la Sicilia orientale e rase al suolo anche la
millenaria città. Netum, così si chiamava, venne fondata secondo la leggenda
dal Ducezio, re dei Siculi, nel 428 avanti Cristo, sul colle a forma di cuore che
dominava la valle, protetto da dirupi e gole montuose. Da questo luogo che
raggiunse il suo splendore nel Medioevo e poi fino al XVI secolo quando divenne
uno dei centri culturali più importanti della Sicilia sudest, i netini sopravvissuti
scapparono via lasciando palazzi, botteghe, chiese e ospedali tra i detriti per
rifondare una Noto ancora più bella e preziosa. Per ricostruire più a valle, in
un altro sito, un’altra città intarsiata di pietra dorata che dal 2002 è
iscritta tra i beni dell’Unesco.
Fuori dalla
città barocca di oggi, ci sono i resti di Noto antica che è un luogo storico
immerso nella natura, meta di trekking archeologico e di studiosi da tutto il
mondo impegnati nella ricostruzione storica di un centro abitato da 12mila
anime e che vantava 11 conventi, 34 chiese e 8 monasteri protetti da alte mura
di cui ancora oggi restano tracce. Mura di poderosi blocchi lapidei che non
furono mai sfondate da nemici: mai, l’antica Noto, fu conquistata da popoli
avversari ma solo il terremoto riuscì a colpirla. Oltre ai blocchi delle mura,
si conservano le porte della città da cui si accedeva al centro abitato: la
porta di Noto antica è ancora adesso l’accesso al sito archeologico.
Dell’abitato
più antico restano tracce dell’agorà, dove gli abitanti si riunivano in
assemblea, dei ginnasio e degli Heroa che erano luogo destinati a
manifestazioni pubbliche. Fortificata in epoca araba, si arricchisce di edifici
tra cui il castello che sovrasta il colle mentre nel Medioevo acquista la
fisionomia tipica delle città di quest’epoca con chiese e tre piazze che
suddividevano il centro abitato in piano del Crocifisso, piano Maggiore – con
la piazza centrale del paese oggi indicata con un’edicola votiva a ricordo
dell’antica Noto - e piano Santa Venera attraversati da una strada principale
chiamata via Cassaro: di tutto questo si possono ammirare resti. Passeggiare
tra queste rovine significa immaginare l’antica Netum, vitale centro culturale siciliano
con le sue 14.416 case come raccontano le cronache dell’epoca. Tra le rovine
spiccano quelle della chiesa del Carmine di cui restano il basamento con una
struttura a tre navate da cui si comprende la struttura dell’edificio dove si
trovano anche le tombe dei frati Carmelitani indicate con bassorilievi
raffiguranti ossa incrociate. Maestose le rovine del convento e della chiesa
dei Gesuiti e quelle del palazzo della famiglia Landolina, con lo stemma
nobiliare che raffigura due leoni simbolo di forza; riconoscibili anche i resti
dell’ospedale cittadino dedicato a Santa Maria di Loreto con i suoi ambienti
Il castello
di Noto antica è collegato alle sue mura e conserva la sala d’armi e le
scuderie, oltre a torri e una prigione dove si leggono ancora bassorilievi e
iscrizioni dei detenuti che qui scontavano le loro pene. I galeotti scrivevano
i loro nomi sulle pietre del carcere, come si può leggere ancora oggi, ma non
solo: in alcuni blocchi sono disegnati giochi che i detenuti facevano tra loro
con pedine, una sorta di antenato del gioco della dama.
L’area
archeologica è arricchita dalla natura più lussureggiante perché, nei pressi
del fiume Asinaro, ci sono oggi percorsi naturalistici meta di appassionati di
storia e botanica. Oltre al sito che racconta la città prima del 1693, qui si
trova cava del Carosello: un canyon profondo un centinaio di metri e in fondo
al quale scorre il fiume Asinaro. Migliaia di specie botaniche e tracce delle
attività dell’uomo legate all’acqua perché qui si trovano anche i resti delle
concerie: “botteghe” scavate nella roccia in epoca araba dove gli antichi
netini producevano la concia delle pelli sfruttando l’acqua del fiume
necessaria per la lavorazione delle pelli. Si trovavano qui anche mulini di cui
rimangono resti e tracce di acquedotti, scavati a cielo aperto, che servivano
per portare l’acqua ai mulini attivi fino al dopoguerra.
L’antica
Netum rivive grazie all’opera Efan del ministero dell’Istruzione che ha
ricostruito virtualmente quattro aree della città antica. Ogni anno, in
occasione della festa dell’Alveria che si celebra l’ultima domenica di maggio,
l’istituto culturale Isvna ridà vita all’antica Netum con giostre medievali,
tornei e visite guidate per riscoprire la città del passato.
Isabella di
bartolo