A perdere non è solo il museo di Buscemi, ma l'intero territorio. Sì, perchè “I
luoghi del lavoro contadino” è un pezzo dell'identità popolare siciliana, un museo che si snoda attraverso le botteghe del
fabbro, del calzolaio, del falegname, del calderaro e, ancora, tra palmento,
casa del massaro e mulino ad acqua. Attraverso questi luoghi si narra appunto
la memoria degli Iblei e si possono scoprire gli oggetti del passato,
perfettamente conservati e corredati da video e legende. Un museo privato ma
riconosciuto dalla Regione proprio per la sua unicità ma che, per morosità, è
costretto a chiudere i battenti.
Per
salvarlo, l’Associazione per la conservazione della cultura degli Iblei che
gestisce il museo di Buscemi, aveva dato vita a una campagna di “adozione” delle
unità museali con tanto di prezziario necessaria per raggiungere la somma di 14.300 euro utile per pagare i canoni. Si chiedeva dunque a mecenati illuminati si sovvenzionare il museo stanziando, ad esempio, 1.200 euro all'anno per l'affitto della casa del massaro mentre con cento
euro in più si poteva pagare quello della bottega del fabbro. Cinquecento euro al
mese era il costo del canone delle botteghe del calzolaio, del falegname e 250
euro quello della casa del bracciante per riscoprire la vita nei campi,
le abitudini e i costumi di cui restano tracce ancora oggi. Non una
provocazione ma una richiesta di aiuto da parte direttore del museo di
Buscemi, Rosario Acquaviva, per salvare l’itinerario etnoantropologico di
Buscemi e Palazzolo Acreide: un luogo di grande interesse paesaggistico e
monumentale che ha fatto sì che Buscemi acquisisse la singolare definizione di “paese-museo” in quanto esempio unico
in Europa.
Ma nulla è stato fatto.
“Si comunica – scrive Rosario Acquaviva - l’inevitabile e
immediata chiusura del museo. Non ci sono più le condizioni finanziarie
minime per poter assicurare la continuità della gestione. Non riusciamo
più a pagare neanche le fatture della fornitura elettrica. Diverse
cause, ben note alla maggior parte, hanno determinato questa situazione.
E’ stato fatto l’impossibile, oltre non si può andare. Per più
di un anno, la rinuncia alle rispettive locazioni da parte dei
proprietari di otto unità museali, ha impedito che il museo chiudesse.
Un atto di grande sensibilità e di particolare amore nei confronti della
struttura. Ritengo che oltre non si può chiedere”.
A difesa del museo è un ex assessore regionale ai Beni culturali, la siracusana Mariarita Sgarlata che durante
il suo mandato, con decreto del 24
febbraio 2014, appose il vincolo di tutela agli immobili costituenti “I Luoghi del lavoro contadino” realizzato
da Rosario Acquaviva e dalla sua équipe. "Un provvedimento di tutela - dice la docente - che mirava a garantire l’integrità degli immobili
e delle loro collezioni che costituiscono espressione e documentazione di
mestieri e attività artigianali relative all’antica civiltà contadina del
territorio ibleo, compreso il mantenimento dell’attuale destinazione d’uso
museale.Sempre
in quei giorni la realtà museale di Buscemi fu oggetto, unitamente
ad alcune altre realtà istituzionali a carattere museale ricadenti nel
territorio ibleo, di un protocollo d’intesa siglato, anche con il
coinvolgimento della Soprintendenza di Siracusa e della Casa Museo Antonino
Uccello di Palazzolo Acreide, volto a razionalizzare la gestione coordinata dei
siti e la valorizzazione integrata delle iniziative culturali del territorio.
Il protocollo d’intesa ha visto inoltre la pronta convergenza dei Comuni
facenti parte dell’Unione della Valle degli Iblei, che ha richiesto, proprio in
questi giorni, di aderire al patto d’intenti. Decreti,
protocolli d’intesa, tutto inutile?"
I luoghi del lavoro contadino nel
territorio di Siracusa era un progetto partito con il direttore del Museo di
Buscemi, Rosario Acquaviva, che dal 1988 ha lavorato alla realizzazione di un
itinerario che si concludesse con la Casa Museo di Antonino Uccello nel comune
di Palazzolo Acreide: “al prelevamento-isolamento di documenti dal loro
contesto normale di uso-giacenza si è preferito, di conseguenza, puntare,
soprattutto per quanto concerne i luoghi di trasformazione dei prodotti
agricoli (palmento, frantoio, mulino) e le botteghe artigianali, sul recupero e
riproposte delle autentiche unità di lavoro, musealizzate negli stessi luoghi”. "Il passo
successivo - dice Mariarita Sgarlata - non poteva che essere connesso con l’esigenza di disciplinare i
musei a rete e gli ecomusei. La legge regionale n. 16 del 2 luglio 2014
regolamenta l’istituzione degli Ecomusei in Sicilia e, all’articolo 1 (oggetto
e finalità), recita: «La Regione di concerto con le comunità locali, le parti
sociali e gli enti locali riconosce, promuove e disciplina gli Ecomusei, allo
scopo di recuperare, testimoniare e valorizzare la memoria storica, la vita, le
figure, le tradizioni, la cultura materiale e immateriale, le relazioni fra
ambiente naturale e ambiente antropizzato, le attività di lavoro artigianali e
il modo in cui l'insediamento tradizionale ha caratterizzato la formazione e
l'evoluzione del paesaggio e del territorio regionale, nella prospettiva di
orientare lo sviluppo futuro del territorio in una logica di sostenibilità
ambientale, economica e sociale, di responsabilità e di partecipazione dei
soggetti pubblici e privati e dell’intera comunità locale".
Il museo di Buscemi è privato sebbene riconosciuto dalla Regione proprio per la sua valenza. La sua unicità. Il suo significato.
E’
questo il primo ecomuseo in Sicilia, nato nel 1988 e divenuto fiore
all’occhiello nella storia della museografia siciliana contemporanea. Nel
disegno di legge relativo alla istituzione degli ecomusei della Sicilia, quello
di Buscemi costituiva la realtà di riferimento in ambito regionale. E nella
guida degli ecomusei in Europa, realizzata a cura della Regione Piemonte,
costituisce l’unico ecomuseo segnalato in Sicilia e uno dei più importanti nel
Meridione. Ma è rimasto fuori dai tour, dalle iniziative di promozione, dalla sinergia culturale che stenta a partire in Sicilia, a concretizzarsi. Quello di Buscemi è museo tra i musei da salvare e riapre la riflessione sulla politica culturale privata e pubblica che deve guardare avanti. Ma come?
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