martedì 13 settembre 2016

Scoperta una "spa" romana tra i templi di Agrigento



La salute del corpo passa attraverso l’acqua. Significa questo “spa”: salus per aquam, appunto. E i romani lo sapevano bene tanto da aver perfezionato il concetto di terme intese come edifici pubblici e luoghi di ritrovo in cui tutti, nobili e plebei, potevano dedicarsi alla cura del corpo sfruttando le proprietà del vapore acqueo, del freddo e del caldo.

Per questo appariva strano agli archeologi che in una città fiorente in età romana come l’Agrigentumsiciliana non vi fossero tracce di impianti termali. Almeno fino a poche settimane fa quando davanti agli studiosi impegnati in una campagna di scavo nel quartiere Ellenistico-romano dell’antica Agrigento, hanno fatto capolino i resti di terme all’interno di una abitazione. Una spa di quartiere, dunque, secondo le prime indagini. Perfettamente inserita nell’urbanistica della città.“Tutto è iniziato con un progetto di scavo destinato a riportare alla luce un contesto residenziale – dice Maria Concetta Parello, archeologa e capo dello staff tecnico-scientifico della Valle dei Templi di Agrigento – ma, appena iniziato a lavorare, sono spuntatii resti di una lunga struttura muraria che ci hanno imposto un cambio di rotta nell’indagine archeologica: ci appariva chiaro che il muro circondasse un ambiente ben preciso su cui, dunque, ci siamo concentrati eliminando gli strati successivi che nei secoli lo avevano manomesso fino a trovare tre vani di un complesso termale: il primo noto ad Agrigentum”. Una sorpresa archeologica di grande valenza che colma la vacatio relativa appunto agli edifici termali nell’ambito di una città a lungo abitata come, appunto, l’Agrigento romana. Da qui la decisione di cambiare lo scopo dello scavo archeologico per meglio capire il ritrovamento che ha già restituito materiali vari attestando come sia stato abitato fino al VII-VIII sec. d.C.
Gli archeologi hanno chiamato 1, 2 e 3 i vani finora scoperti: tutti realizzati in conci di tufo ben squadrati, con grande accuratezza tecnica. Un primo è a forma di rettangolo allungato, con un pavimento in cocciopesto e i resti di una vasca rotonda probabilmente usata per i bagni con acqua bollente; il vano si innesta sul secondo ambiente absidato da cui si accedeva al praefurnium: un grande forno che serviva a produrre aria calda per alimentare un sistema di riscaldamento sotterraneo inventato in età greca e perfezionato dai romani, chiamato ipocausto. Questa tecnica consistevanel far circolare l’aria calda prodotta dal forno all’interno di cavità ricavate con piccoli pilastri nel pavimento e nelle pareti: un sistema di riscaldamento usato per le terme e le ville dell’antica Roma. E sono proprio i resti di questi pilastri, chiamati suspensurae, ad essere stati rinvenuti nell’ultima sala delle terme di Agrigentum: rialzavano il pavimento creando uno spazio al di sotto del piano calpestabile che, con il vapore prodotto dal forno, rendeva caldo l’ambiente. Gli archeologi della Valle dei Templi hanno trovato anche i resti di un altro praefurnium ma le indagini sono appena partire. “Le dimensioni dei singoli ambienti – dice Maria Concetta Parello – ci fanno pensare che debba essere un piccolo complesso termale inserito regolarmente nella maglia urbana di Agrigentum. Un impianto termale simile a quello ritrovato a Tindari, perfettamente inserito nell’urbanistica della città; o ancora, nel vicino Nord Africa, simili alle Terme di Oceano e alle Terme della Regio VIII rinvenute nella città di Sabratha. Insomma, queste terme erano di quartiere: a servizio di un’importante area residenziale collocata al centro della città antica e in prossimità di un’area pubblica. Nulla possiamo dire, ad oggi, circa il momento della sua costruzione poiché i dati stratigrafici ricavati in questa campagna di scavo si fermano ai livelli di abbandono e rioccupazione avvenuti dopo l’età romana e gli obiettivi della nostra ricerca saranno il completamento dello scavo e il suo studio”. Un altro aspetto su cui si concentreranno gli archeologi della Valle dei Templi sarà quello dell’approvvigionamento idrico delle terme: si proverà infatti a riportare alla luce il sistema idrico con cui veniva assicurata l’acqua all’impianto. E si ricostruirà un pezzo della vita quotidiana dei siciliani di epoca romana di cui le terme rappresentano un importante aspetto sociale: erano luoghi di ritrovo, di benessere da cui prendono le mosse le spa moderne con l’alternanza degli ambienti freddi e caldi e le vasche profumate da spezie e vini. Luoghi sfarzosi per l’aristocrazia o semplici per il popolo ma frequentati da tutti. Il viaggio a ritroso nel tempo è dunque appena cominciato.
Isabella di bartolo (riproduzione riservata)

giovedì 1 settembre 2016

Buscemi e il museo perduto



A perdere non è solo il museo di Buscemi, ma l'intero territorio. Sì, perchè “I luoghi del lavoro contadino” è un pezzo dell'identità popolare siciliana, un museo che si snoda attraverso le botteghe del fabbro, del calzolaio, del falegname, del calderaro e, ancora, tra palmento, casa del massaro e mulino ad acqua. Attraverso questi luoghi si narra appunto la memoria degli Iblei e si possono scoprire gli oggetti del passato, perfettamente conservati e corredati da video e legende. Un museo privato ma riconosciuto dalla Regione proprio per la sua unicità ma che, per morosità, è costretto a chiudere i battenti.


Per salvarlo, l’Associazione per la conservazione della cultura degli Iblei che gestisce il museo di Buscemi, aveva dato vita a una campagna di “adozione” delle unità museali con tanto di prezziario necessaria per raggiungere la somma di 14.300 euro utile per pagare i canoni. Si chiedeva dunque a mecenati illuminati si sovvenzionare il museo stanziando, ad esempio, 1.200 euro all'anno per l'affitto della casa del massaro mentre con cento euro in più si poteva pagare quello della bottega del fabbro. Cinquecento euro al mese era il costo del canone delle botteghe del calzolaio, del falegname e 250 euro quello della casa del bracciante per riscoprire la vita nei campi, le abitudini e i costumi di cui restano tracce ancora oggi. Non una provocazione ma una richiesta di aiuto da parte direttore del museo di Buscemi, Rosario Acquaviva, per salvare l’itinerario etnoantropologico di Buscemi e Palazzolo Acreide: un luogo di grande interesse paesaggistico e monumentale che ha fatto sì che Buscemi acquisisse la singolare definizione di “paese-museo” in quanto esempio unico in Europa. 
Ma nulla è stato fatto.   
Si comunica – scrive Rosario Acquaviva - l’inevitabile e immediata chiusura del museo. Non ci sono più le condizioni finanziarie minime per poter assicurare la continuità della gestione. Non riusciamo più a pagare neanche le fatture della fornitura elettrica. Diverse cause, ben note alla maggior parte, hanno determinato questa situazione. E’ stato fatto l’impossibile, oltre non si può andare. Per più di un anno, la rinuncia alle rispettive locazioni da parte dei proprietari di otto unità museali, ha impedito che il museo chiudesse. Un atto di grande sensibilità e di particolare amore nei confronti della struttura. Ritengo che oltre non si può chiedere”.

A difesa del museo è un ex assessore regionale ai Beni culturali, la siracusana Mariarita Sgarlata che durante il suo mandato, con decreto del 24 febbraio 2014, appose il vincolo di tutela agli immobili costituenti “I Luoghi del lavoro contadino” realizzato da Rosario Acquaviva e dalla sua équipe. "Un provvedimento di tutela - dice la docente - che mirava a garantire l’integrità degli immobili e delle loro collezioni che costituiscono espressione e documentazione di mestieri e attività artigianali relative all’antica civiltà contadina del territorio ibleo, compreso il mantenimento dell’attuale destinazione d’uso museale.Sempre in quei giorni la realtà museale di Buscemi fu oggetto, unitamente ad alcune altre realtà istituzionali a carattere museale ricadenti nel territorio ibleo, di un protocollo d’intesa siglato, anche con il coinvolgimento della Soprintendenza di Siracusa e della Casa Museo Antonino Uccello di Palazzolo Acreide, volto a razionalizzare la gestione coordinata dei siti e la valorizzazione integrata delle iniziative culturali del territorio. Il protocollo d’intesa ha visto inoltre la pronta convergenza dei Comuni facenti parte dell’Unione della Valle degli Iblei, che ha richiesto, proprio in questi giorni, di aderire al patto d’intenti. Decreti, protocolli d’intesa, tutto inutile?"
I luoghi del lavoro contadino nel territorio di Siracusa era un progetto partito con il direttore del Museo di Buscemi, Rosario Acquaviva, che dal 1988 ha lavorato alla realizzazione di un itinerario che si concludesse con la Casa Museo di Antonino Uccello nel comune di Palazzolo Acreide: “al prelevamento-isolamento di documenti dal loro contesto normale di uso-giacenza si è preferito, di conseguenza, puntare, soprattutto per quanto concerne i luoghi di trasformazione dei prodotti agricoli (palmento, frantoio, mulino) e le botteghe artigianali, sul recupero e riproposte delle autentiche unità di lavoro, musealizzate negli stessi luoghi”. "Il passo successivo - dice Mariarita Sgarlata - non poteva che essere connesso con l’esigenza di disciplinare i musei a rete e gli ecomusei. La legge regionale n. 16 del 2 luglio 2014 regolamenta l’istituzione degli Ecomusei in Sicilia e, all’articolo 1 (oggetto e finalità), recita: «La Regione di concerto con le comunità locali, le parti sociali e gli enti locali riconosce, promuove e disciplina gli Ecomusei, allo scopo di recuperare, testimoniare e valorizzare la memoria storica, la vita, le figure, le tradizioni, la cultura materiale e immateriale, le relazioni fra ambiente naturale e ambiente antropizzato, le attività di lavoro artigianali e il modo in cui l'insediamento tradizionale ha caratterizzato la formazione e l'evoluzione del paesaggio e del territorio regionale, nella prospettiva di orientare lo sviluppo futuro del territorio in una logica di sostenibilità ambientale, economica e sociale, di responsabilità e di partecipazione dei soggetti pubblici e privati e dell’intera comunità locale".
Il museo di Buscemi è privato sebbene riconosciuto dalla Regione proprio per la sua valenza. La sua unicità. Il suo significato.

E’ questo il primo ecomuseo in Sicilia, nato nel 1988 e divenuto fiore all’occhiello nella storia della museografia siciliana contemporanea. Nel disegno di legge relativo alla istituzione degli ecomusei della Sicilia, quello di Buscemi costituiva la realtà di riferimento in ambito regionale. E nella guida degli ecomusei in Europa, realizzata a cura della Regione Piemonte, costituisce l’unico ecomuseo segnalato in Sicilia e uno dei più importanti nel Meridione. Ma è rimasto fuori dai tour, dalle iniziative di promozione, dalla sinergia culturale che stenta a partire in Sicilia, a concretizzarsi. Quello di Buscemi è museo tra i musei da salvare e riapre la riflessione sulla politica culturale privata e pubblica che deve guardare avanti. Ma come?